Oleificio Zucchi è stato a novembre tra i protagonisti della Plma, a Chicago, la prestigiosa fiera dedicata alla Private Label negli Stati Uniti e Canada, che ha riunito i maggiori buyer della gdo. Il prodotto a marchio del distributore incide sul fatturato della divisione consumer dell’azienda cremonese per oltre il 50% (circa 110 milioni su 200 milioni totali aziendali).
“Negli Usa puntiamo tutto sulla gamma degli oli extravergine tracciati, italiani e comunitari -fa sapere Manuel Sirgiovanni, direttore Divisione Consumer-. Abbiamo sviluppato la filiera per Italia, Spagna e Grecia. Incide molto all’estero poter proporre al cliente prodotti in linea con le tendenze del momento: trasparenza sull’origine degli oli, sicurezza, certificazioni di qualità, attenzione ad aspetti ambientali. Quello che vediamo è un po’ come in Italia: un tempo la mdd era considerata il low price di qualunque insegna, oggi è la loro immagine. E deve contraddistinguerli rispetto ai loro competitor. Stiamo assistendo a uno switch: è più facile trovare marchi storici posizionati in una fascia di prezzo basso molto promozionata, e una mdd a valore premium con poca incidenza promozionale”.
Disciplinari
L’interesse dei buyer per aspetti di tipo ambientale e sociale è sempre maggiore. Oleificio Zucchi ha dato vita al primo disciplinare di Certificazione di Sostenibilità dell’intera filiera dell’olio. Con la mdd l’azienda va forte negli Usa, Nord Europa, Giappone e ultimamente anche Cina. “Gli oli a provenienza italiana sono un valore aggiunto, grazie anche all’expertise di noi italiani nel realizzare i migliori blend. Cerchiamo innanzitutto di capire il gusto del Paese: si punta su blend che siano in grado di soddisfare i requisiti delle catene in termine di volumi e di offrire ai loro consumatori profili versatili e adatti ai diversi usi in tavola e cucina. È difficile all’estero proporre blend di oli forti e robusti, per esempio con una prevalenza di cultivar Coratina, se non vengono adeguatamente spiegati. Solitamente puntiamo su profili dolci e fruttati. Quello di cui i consumatori hanno bisogno sono pochi concetti per fidelizzarsi al prodotto”.
Poca comunicazione
Negli Usa la cultura dell’olio è ancora in fieri e si sta sviluppando sempre più nell’alimentazione quotidiana. “Nonostante questi sviluppi, anche lì la normativa vigente limita molto la comunicazione in etichetta e non permette di descrivere il prodotto e il gusto per accompagnare il consumatore nella sua scelta. A livello di prodotto negli Usa il biologico continua a essere un segmento molto forte: nel nostro campo l’offerta di oli bio come Pl è superiore all’Italia: incide circa un 15% rispetto al 5% del nostro Paese”.
Imparare dalle birre
Uscire dal prodotto di commodity è l’imperativo. E il modello del vino, spesso citato, non è l’unico. “Può essere preso a esempio quello che hanno fatto le birre non solo artigianali negli ultimi anni. Sono riuscite a segmentare lo scaffale e a ottenendo diversi posizionamenti di gusto, formato e prezzo. Occorre puntare sulla formazione con azioni nel punto vendita, guidare la scelta del consumatore a scaffale e avere la possibilità di lavorare su progetti di category e di in store marketing con i retailer. Il tutto per evitare che l’olio continui ad essere guidato purtroppo dalla promozionalità e dallo sconto, rimanendo in molti casi un prodotto civetta. Se tutti insieme riusciremo a intraprendere un percorso di valorizzazione e formazione sul prodotto potremo cambiare passo, con risultati positivi e gratificanti per tutti per tutti gli attori della filiera”.