Tutti i marchi ormai avvertono la necessità di focalizzarsi sui big data, tema a cui il 79% dà elevata priorità in ottica di personalizzazione della customer experience. Nella pratica, tuttavia, i risultati sono ben lontani dall'essere soddisfacenti e la maggior parte delle azienda ha difficoltà di gestione, analisi e valorizzazione dei big data stessi.
A svelarlo è un'indagine presentata da Sitecore e svolta in collaborazione con Vanson Bourne in 14 Paesi, analizzando le risposte di 6.800 consumatori e 680 decision maker nel marketing e nell'IT.
Uno schiacciante 96% dei consumatori intervistati ritiene infatti in norma di aver a che fare con una cattiva personalizzazione e cita in proposito 3 errori ricorrenti da parte dei marchi:
1 - L'utilizzo di informazioni obsolete relative al cliente (59%). Altrimenti detto: quando il bambino ha già 7 anni ma ancora mi proponete offerte sui pannolini.
2 - L'utilizzo di informazioni personali errate (57%). Altrimenti detto: perché da ragazza under 21 dovrebbe servirmi una crema antirughe?
3 - la valutazione di ciò che i consumatori desiderano sulla base di singole interazioni (54%). Altrimenti detto: se ho cercato un regalo per il mio fidanzato su un sito di "prodotti per nerd" stile Marvel è inutile che passiate tutto l'anno successivo ad investire in ads che mi mostrano magliette da uomo a mezze maniche con su Spider Man.
In media, i brand affermano di raccogliere online otto diversi tipi di dati sui clienti, che spaziano dai dettagli sulla transazione alle informazioni e ai trend comportamentali. Eppure, circa un terzo (31%) delle aziende interpellate denota una mancanza di competenze necessarie ad utilizzare o analizzare correttamente i dati raccolti, e il 42% non possiede le capacità di integrare la raccolta di informazioni. Soltanto il 12% è in grado di raccogliere i dati online a livello individuale (e non sul segmento di consumatori).
In sintesi: se li raccogliete, tanto vale usarli di meglio.