Usare bene l’online nel food & grocery, c’è ancora tempo di farlo nel 2025

Un percorso negli ultimi 4 anni lungo la crescita e gli intoppi degli eCommerce, con uno sguardo a sfide e opportunità del 2025

Cosa dobbiamo aspettarci dal 2025 riguardo il business del food online? Prima di arrivarci, e per i più impazienti basta cliccare qui, vi invito a fare un piccolo percorso con me per scoprire cosa è successo negli ultimi anni. Poi, mapperò lo scenario attuale e solo dopo proverò a interpretare i prossimi 12 mesi. Partiamo quindi da cosa è accaduto negli ultimi anni nel food online.

2020-2021, gli anni del Covid

Nel 2020 e 2021, per i motivi che sappiamo, gli operatori dell’agroalimentare che si sono fatti trovare pronti per cavalcare l’onda dell’online sono decollati, qualsiasi fosse il loro ruolo nella catena distributiva. Hanno goduto e scoperto un mondo nuovo. I brand che hanno strutturato un servizio D2C (Direct to Consumer) hanno compreso che il dialogo con il consumatore era possibile e portava vantaggi. I produttori hanno compreso che digitalizzare i propri processi porta benefici economici e operativi. I retailer hanno capito che unire offline e online, nonostante le complessità, è possibile e non significa solamente introdurre il click&collect o inserire punti fedeltà, ma molto di più (e su questo ci torniamo fra poco). Le startup, hanno ottenuto più appoggio e spinta finanziaria e si sono mosse in massa.

Potremmo quindi definire il 2020 e 2021 anni della scoperta e della ribalta per il food online.

2022, l'anno complesso

Il 2022 invece è stato un anno più complesso, che ha obbligato molti a scoprire le carte e a fare i conti con il proprio modello organizzativo. È stato l’anno in cui il food online non ha mostrato crescita rispetto all'anno precedente, per colpa di una naturale flessione derivata dal ritorno alla “normalità”. Il 2022 ha quindi forzato un test di sostenibilità economica e finanziaria per tanti attori del food online. In quell’anno, Gorillas ha alzato bandiera bianca e, a ruota, ha creato sfiducia verso molti nuovi attori del retail online e da fondi di investimento. Chi ha sovrainvestito nei due anni precedenti senza conoscenza del mercato e senza prudenza, nel 2022 ha dovuto ammettere di esser stato troppo ottimista. Chi ha generato fatturato nei due anni precedenti principalmente grazie ad un mercato “drogato”, nel 2022 ha dovuto ammettere di avere un modello di business non definito e non sostenibile.

Il 2022 è stato l’anno della prova del nove per il food online.

2023, l'anno del consolidamento

Il 2023 già dai primi mesi ha mostrato tassi di crescita, non solo rispetto al 2022 ma anche rispetto al 2021. Il primo trimestre del 2023 ha mostrato che il food & grocery online stava seguendo lo stesso trend di crescita pre-pandemia, quindi “depurato” nell’andamento da quel biennio maledetto. È stato un anno che ha visto crescere coloro che sono resistiti al rimbalzo del 2022 e che hanno correttamente cavalcato il periodo per digitalizzarsi e per introdurre nuove linee di business. Nel 2023, il food delivery ha consolidato e ridotto il numero di player che l’anno precedente avevano aumentato a dismisura la competizione facendo anche (si, si può dire!) un po’ di sana pulizia tra i retailer online. I brand hanno iniziato a raccogliere dati da quel dialogo con il consumatore che avevano iniziato un paio di anni prima e i retailer hanno potuto osservare, anche finanziariamente, il beneficio di fare vivere online e offline insieme, perché uno aiuta l’altro.

Il 2023 potrebbe essere definito, per i retailer, l’anno della consapevolezza sull’importanza strategica dell’online.

2024, l'anno per continuare a crescere

Poi è arrivato il 2024, che sul finire ci ha mostrato già molto. Ad esempio, ci ha detto che il Food & Grocery Online ha toccato quota 4,6 miliardi di transato, con una crescita del 6,2% rispetto il 2023 e una penetrazione del 6%[1] (e pensare che quando ho cominciato a vendere frutta online, nel 2013, tutto il comparto del food online valeva 300 milioni!). Il 2024 ci ha mostrato anche che fare eCommerce non è proprio banale. Benissimo aver resistito al rimbalzo del 2022 ed essere cresciuti nel 2023, ma vendere online è dispendioso da diversi punti di vista. Molti si sono accorti che richiede aggiornamento costante, che prevede l’abilità di soddisfare bisogni specifici di clienti e consumatori, che i processi organizzativi sono impegnativi da integrare e sostenere per chi opera su più canali distributivi.

Ci ha mostrato anche, però, che di quel canale non se ne può fare a meno perché se è vero che cresce del 6% e che il retail del food & grocery offline cresce meno (stimato del 3%), significa matematicamente che l’online si sta mangiando sempre più una piccola parte del fatturato dell’offline. Sfido a dimostrare il contrario. Quindi no, non si può fare a meno di giocare questa partita. Un brand non può permettersi di non avere un portale B2C, dal quale raccogliere dati e creare community con i consumatori (smettiamo di parlare di “dialogo”, iniziamo a parlare di “community”!). Un produttore non può evitare di avere una presenza digitale. Non può privarsi della capacità di intercettare buyer che frequentano prevalentemente Instagram e TikTok. Un retailer non può prescindere dal dare al consumatore la scelta di comprare dal cellulare mentre guarda la pubblicità di San Remo.

Il 2024 è stato l’anno dell’affermazione, in cui il food & grocery online ha sbattuto il pugno sul tavolo e ha detto “ci sono!”.

Ora che siamo allineati su cosa è accaduto negli ultimi anni, occorre mappare lo scenario attuale. Questi sono periodi in cui i retailer si trovano di fronte a diverse sfide ed una principale opportunità. Parto dalle prime, perché mi piace rimanere con i piedi per terra.

Sfida n. 1: “dammi tutto te stesso, e io farò uguale” cit. il consumatore

La sfida più importante, che non ha più tempo per aspettare di essere risolta, è quella del servizio. I dati parlano chiaro: online il consumatore si aspetta qualità di servizio ancor prima della qualità del prodotto. Non tollera più l’idea che il sito non accetti il suo metodo di pagamento preferito, che la consegna non sia comunicata con precisione, che il customer care sia disponibile solo via mail o che un prodotto sia momentaneamente out of stock. Il consumatore non ha più pazienza. Anzi, mi spingo oltre: è impaziente di comprare, ma vuole farlo in cambio di un servizio fatto bene. Quindi non ci stupiamo se colossi marketplace mondiali (e non occorre citarli) crescono senza freno. Lo fanno perché non esiste competizione a livello di servizio. L’Italia è il Paese che ha il maggior numero in Europa di utenti che hanno comprato food online almeno una volta, ma è il Paese con il minor tasso di penetrazione del food online[2] (nonostante il 6% raggiunto quest’anno). Come mai? Semplice: per il motivo appena spiegato, perché il livello qualitativo dell’offerta non soddisfa le esigenze qualitative della domanda, quindi la domanda, cioè il consumatore, compra online, prova, ma poi finisce per non ricomprare spesso, perché le aziende ancora non gli forniscono precisamente ciò che cerca.

Sfida n. 2: “essere distribuiti rimanendo sè stessi”

L’omnicanalità. Quella vera però. Quell’omnicanalità grazie alla quale io consumatore posso decidere di andare a comprare il sabato mattina al supermercato oppure di ordinare la spesa online il giovedì sera e vivere la medesima esperienza qualitativa con quel retailer. Momenti diversi, canali diversi, anche prezzi diversi, ma esperienza coerente.

Se invece, per qualsiasi motivo, dovessi trovare l’indisponibilità di alcuni prodotti online che invece avrei trovato al solito posto sullo scaffale offline, allora quell’omnicanalità sarebbe solo nella teoria e non nei fatti. Oppure, se decidessi di acquistare i prodotti del mio brand preferito su un marketplace e trovassi gli stessi prodotti con un livello di servizio maggiore e persino un prezzo più basso rispetto il suo ecommerce diretto dal quale avevo comprato un mese prima, allora mi infastidirei e rischierei di amare meno quel brand. Creare una channel strategy per ogni canale distributivo è difficile, ma tremendamente importante per fidelizzare un consumatore sempre più esigente.

Sfida n. 3: “sostenibilità economica unita alla crescita”

Che l’online richieda impegno e sforzi, anche economici, non è una sorpresa. La sfida però non è solo quella di allocare investimenti finanziari, ma di generare profittabilità economica. È il margine di contribuzione, quello che mostra la differenza tra i ricavi e i costi variabili di ogni mese, che deve essere sano e mostrare un segno positivo.

Se i costi fissi portano l’Ebitda del periodo ad un valore negativo non è necessariamente un problema nella misura in cui ho finanza per sostenere un investimento. Se però la marginalità variabile (e ricordiamoci che nei costi variabili quando si parla di online occorre inserire anche le spese in digital advertising) non è positiva allora il modello di business che sto usando online va rivisto. E se per renderla positiva rischio di compromettere la crescita del fatturato, allora l’allarme deve risuonare ancora più alto perché significa che qualcosa non torna. Crescere di fatturato, acquisire nuovi buyer consapevoli e mantenere un margine contributivo positivo allo stesso tempo è difficile ed è possibile solo con un chiaro piano tattico e strategico in mente e un posizionamento differenziante rispetto la concorrenza.

Dopo le bastonate la carota: il mercato è davvero enorme, se non lo vediamo è perché giochiamo la stessa partita degli altri

L'opportunità: un mercato ancora da esplorare

Definite le tre principali sfide, vengo alla notizia dolce: il mercato è enorme e ancora tutto da esplorare. La tua azienda ha una principale opportunità: quella di essere prima. Nonostante già molti retailer operino online, pochi, se non addirittura pochissimi, hanno qualcosa di unico e rimane ancora tantissimo da scoprire. C’è un oceano blu online (per citare Chan Kim e Renée Mauborgne) ancora da navigare.

L’opportunità è di poter giocare una partita in cui la competizione è ancora poca, non tanto perché nessuno venda online, ma perché come lo potresti fare tu non lo sta ancora facendo nessuno. Personalmente, è un aspetto che ritengo molto affascinante. Alla scorsa edizione di Ecommerce Food Conference ho raccontato di alcuni modelli di business per il food online che sono stati esplorati ancora poco, come l’abbonamento di food brand italiani all’estero o di prodotti personalizzabili online a livello locale (giusto per citarne un paio). È questo è il bello dello scenario attuale: l’opportunità di fare qualcosa di unico e ottenere un primato, affermando la propria identità di marca anche online.

Quindi, cosa ci dobbiamo aspettare per il food & grocery online nel 2025?

Non ho la pretesa di prevedere cosa accadrà, però ho delle aspettative, da buon inguaribile ottimista. Mi aspetto, per esempio, di vedere una prima bella campagna di retail media sia online che offline, per risolvere la sfida n. 3, oppure di vedere su LinkedIn qualcuno della mia rete annunciare il nuovo ruolo di omnichannel manager per un famoso retailer, per risolvere la sfida n. 2. Senza dubbio, mi aspetto anche di vedere l’ingresso di nuovi player, magari internazionali (OnBuy.com, colosso britannico, ha già annunciato che l’Italia è nel suo mirino), perché la sfida n. 1 è affascinante e darà soddisfazioni a chi la risolverà. Mi aspetto che tanti retailer investano per aumentare sensibilmente il proprio assortimento online e l’estensione del proprio catalogo. Perché parlare di “prodotto” è ciò che sanno fare meglio e per molti potrebbe essere un quick-win per aumentare il servizio offerto, avere qualcosa di unico e creare fidelizzazione verso il consumatore. Mi aspetto la crescita di alcuni retailer italiani all’estero. Perché il domestic market è una briciola rispetto l’intera pagnotta del commercio mondiale di food, e da tempo sappiamo che possiamo venderci molto bene oltre i nostri confini. Solo che fino ad ora è stato molto dispendioso farlo. Ora non più.

Ed ecco l’aspettativa finale: che vengano riscritti piani triennali, perché nel 2024 è successa una cosina simpatica: è entrata l’intelligenza artificiale nel lavoro quotidiano. E non abbiamo ancora capito davvero quanto cambierà business e consumatori. Per i retailer, con l’Ai si può fare ricerche di mercato in meno di mezza giornata, o customer care in lingua automaticamente, o prototipazione di nuovi prodotti e brand, o creare ambassador digitali, o automatizzare tutti processi di vendita. La cosa sorprendente è che alcuni lo stanno già facendo, ma questa è un’altra storia. Intanto, iniziamo ad usare bene l’online, che c’è ancora tempo per farlo.

[1] Fonte: Osservatorio Netcomm, in collaborazione con Foxintelligence by NielsenIQ

[2] Fonte: Statista

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