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La metodologia virtual instore shopper stenta a decollare in Italia benché abbia dato prova, come in altri paesi del mondo, di essere un’ottima predittrice del comportamento di acquisto dei consumatori nel punto di vendita. L’uso della tecnica di ricerca che si avvale della simulazione di acquisto in ambiente virtuale oggi è utilizzata con successo dall’industria e dalla distribuzione, in quanto ha dato largamente prova di essere il metodo meno costoso, più efficiente e affidabile per selezionare, ottimizzare e qualificare tutta una serie di iniziative nel punto di vendita prima di procedere all’effettiva introduzione sul mercato. Grazie alla facilità di condivisione e riapplicazione, soprattutto all’interno delle grandi multinazionali, ricerche che usano l’ambiente virtuale come stimolo da sottoporre allo shopper vengono eseguite nella maggior parte dei paesi del mondo industrializzato: dalla Corea all’India, dall’America al Giappone fino all’Europa.
I vantaggi
I benefici per il mondo marketing dell’industria e della distribuzione sono ampi, visto che l’approccio permette di studiare e misurare il comportamento degli shopper in relazione a tutti quegli elementi importanti lungo il percorso di acquisto. Un ampio spettro di problematiche di instore marketing può essere studiato quale alternativa, per esempio, di planogrammi, posizioni di categorie e prodotti a scaffale, esecuzioni di studi di price sensitivity, ottimizzazioni di materiali di comunicazione nel punto di vendita o valutazioni di nuove confezioni in un contesto competitivo. Uno dei primari benefici di questo approccio, al di là di considerevoli saving in termini sia di tempo sia di accresciuta flessibilità e massima confidenzialità, è dato dal controllo sperimentale che il ricercatore può utilizzare sull’ambiente e l’interazione che lo shopper può avere con esso. Ciò permette di raccogliere evidenze di shopper marketing con espliciti link causali fra variabili direttamente controllabili nel punto di vendita e il loro impatto sul comportamento di acquisto dei rispondenti.
Non sorprende, quindi, come l’utilizzo della virtual instore shopper methodology sia cresciuto nell’arco di poco più di un decennio e la metodologia sia considerata un’alternativa a tecniche più tradizionali, quali shopper test eseguiti fisicamente nei punti di vendita in quanto questi ultimi tendono a essere più costosi, time-consuming e complessi da gestire.
Affidabiltà e validazione nel mondo
Molti lavori di validazione, test in parallelo, verifiche in un numero controllato di punti di vendita sono stati eseguiti nel corso degli anni, già a partire dagli anni ’90, e tutt’oggi vengono eseguiti. Piccoli istituti di ricerca americani altamente tecnologici e laboratori sperimentali del calibro della Harvard Business School, della University of Pennsylvania’s Wharton School o dell’ Indiana University in Bloomington, per citarne solo alcuni, cominciavano a studiare la tecnologia virtuale e la sperimentavano, la miglioravano già a partire dagli anni ’90, la qualificavano e validavano mettendo a confronto e misurando la correlazione esistente fra i dati di vendita ottenuti in ambiente virtuale e i dati di vendita forniti da fonti ufficiali quali dati Iri o dati Nielsen.
E l’Italia?
In Italia, ancora oggi, la virtual instore shopper methodology è uno strumento di ricerca utilizzato poco e da pochi, probabilmente per un mix di ragioni: perché non è ben conosciuto e qualche volta mistificato; perché erroneamente ritenuto non predittivo del comportamento degli shopper all’interno del reale punto di vendita; perché ritenuto costoso in quanto comparato con tecniche di ricerca che non producono risultati minimamente comparabili. E l’Italia non fa eccezione: come e perché dovrebbe? La tecnica di virtual research è predittiva del comportamento degli shopper in Italia così come in Germania o in America: tutto sta nell’essere certi di utilizzare la tecnica virtuale giusta, nel rigore del protocollo di disegno della metodologia, nella qualità del reclutamento e nella scelta del campione che deve correttamente rappresentare l’universo di riferimento.
Virtual shopper
test in Italia
Recentemente un virtual instore shopper test è stato eseguito in Italia su un campione online di 600 consumatori, donne e uomini, stratificato a livello nazionale utilizzando come universo di riferimento le più recenti statistiche pubblicate dalla Banca d’Italia.
Il test mirava a studiare il comportamento di acquisto degli shopper in relazione a una categoria di prodotti composta da cinque sottocategorie. Sono stati riprodotti in ambiente virtuale sia uno scaffale tipo di supermercato sia uno scaffale tipo di ipermercato che includevano rispettivamente circa 100 referenze il primo e circa 230 referenze il secondo. A campioni indipendenti di shopper è stato chiesto di navigare lo scaffale supermercato o lo scaffale ipermercato e di comportarsi esattamente come avrebbero fatto abitualmente qualora si fossero recati nel loro negozio abituale per acquistare una o più categorie di prodotto.
Affidabilità
e validazione in Italia
Confrontando le stime delle share a valore dei brand lette nel test virtuale con i dati ufficiali di vendite a valore Iri 2010 si è potuta riconfermare l’altissima correlazione, già più volte osservata in altri paesi nel mondo, pari allo 0,971, significativa al livello 0,01 sulla sottocategoria oggetto principale del test. Nel 44% dei casi lo scostamento delle share a valore dei singoli brand non ha superato l’1,4%, nel 33% dei casi é stata inferiore allo 0,7%.