Un biofertilizzante dagli scarti dei batteri lattici per l’industria lattiero-casearia

Riduce del 30% il quantitativo di fertilizzanti azotati, in linea con gli obiettivi Ue del Green Deal

Gli scarti dei terreni di coltura utilizzati nella produzione dei batteri lattici per l’industria latterio-casearia e per i probiotici possono diventare dei biofertilizzanti. È il risultato di uno studio (pubblicato sulle riviste scientifiche Frontiers e Land) che è il frutto della collaborazione tra l’azienda Sacco di Cadorago (Co) e ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Piacenza, in particolare Pier Sandro Cocconcelli ed Edoardo Puglisi, professori di Microbiologia agraria degli alimenti presso la Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali. Sacco è un’azienda storicamente vocata all’industria lattiero-casearia e alla nutraceutica; produce microorganismi usati come colture starter per il settore, batteri lattici per la produzione di formaggi, yogurt, ma anche impiegati come probiotici.

“Il quartier generale è a Cadorago in provincia di Como -spiega Francesco Vuolo, manager di ricerca e sviluppo della parte agro per Sacco-, abbiamo anche una sede a Lodi, una in Svezia e un’altra recentemente aperta nel Wisconsin, negli Usa. Negli ultimi 5 anni ci siamo aperti al settore agro per la produzione di fertilizzanti e biofungicidi. E in quest’ambito abbiamo deciso di avviare un progetto di economia circolare per recuperare gli scarti della fermentazione, che effettuiamo in sede. In particolare sfruttiamo la parte liquida, dove cresciamo i batteri, ovvero il loro brodo di fermentazione.

Da prodotto di risulta, smaltito in impianti di depurazione comunale (sono circa  800 tonnellate l’anno i residui del nostro processo produttivo) ora sarà utilizzato per recuperarne la porzione di nutrienti utili per le piante. Grazie alla ricerca fatta con l’Università Cattolica e appoggiandoci a un centro di ricerca nel Veneto, il Centro di saggio agronomico LandLab di Quinto Vicentino, abbiamo scoperto il suo valore come biofertilizzante”. Gli esempi virtuosi di economia circolare si stanno moltiplicando nell’industria lattiero-casearia, con il recupero di sottoprodotti come la lattoferrina e sieroproteine da usare in integratori, alimenti e bevande per sportivi. Questo nuovo risultato è importante perché risponde alla politica Farm to Fork che chiede il taglio del 20% dei fertilizzanti entro il 2030, il cui costo è lievitato con la guerra russo-ucraina: un obiettivo sfidante, che si unisce al dimezzamento degli agrofarmaci, nell’ottica anche di minori emissioni di CO2.

“Riduce del 30% il quantitativo di fertilizzanti azotati e anziché quelli chimici si usa un materiale di origine biologica che è un sottoprodotto industriale di un certo valore -sottolinea Edoardo Puglisi-. Abbiamo ormai un certo numero di evidenze, solide, che si possono ridurre del 30-40% fertilizzanti, pesticidi o fungicidi compensando con l’utilizzo di microorganismi che agiscono soprattutto quando il sistema suolo pianta è in condizione di stress, come per esempio in caso di siccità. Senza l’utilizzo di questi strumenti microbiologici, organici dubito che gli obiettivi del Green Deal siano raggiungibili. E serve una sinergia tra accademia e industria, come è avvenuto con questa ricerca. Noi ci siamo occupati di aspetti riguardanti la microbiologia del suolo e l’interazione di questo prodotto con la pianta.

I lavori lavori scientifici pubblicati insieme hanno riguardato prima la valutazione dell’assenza di effetti tossicologici, poi l’efficacia nelle fertilizzazione, ma anche la rimodulazione del metaboloma della pianta e l’arricchimento di microorganismi utili”. La strada del nuovo prodotto sarà ora quella di una produzione industriale. “Inizieremo a produrlo in grandi quantità e a proporlo come ingrediente per concimi organici o anche per biofertilizzanti più complessi alle aziende produttrici di fertilizzanti -precisa Vuolo-. Per ora lo abbiamo classificato come concime organico liquido, ma altri studi sono in corso e saranno utili per caratterizzarne eventualmente la natura di biostimolante. A differenza dei prodotti sintetici, che hanno l’unico scopo di nutrire la pianta, in questo caso il biofertilizzante, che deriva dalla produzione dei batteri lattici, ha la capacità di nutrire non solo la pianta in maniera diretta, ma anche il microbiota del suolo, aumentare la diversità microbica del suolo e fortificarlo. Va ad arricchire il sistema suolo-pianta-batteri. La politica aziendale è B2B: rimaniamo  produttori dell’ingrediente, coperto da proprietà intellettuale, che sarà integrato in altri prodotti a marchio di terzi”.

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