Transizione ecologica: ultima chiamata, o il prezzo sarà altissimo per tutti #Linkontro

Le aziende hanno ancora tempo per disegnare un futuro ricco e condiviso, ispirandosi alle best practice in atto. Il punto da Linkontro Nielsen 20204

Partiamo dalle cose belle: l’Italia è il Paese in Europa con la più alta biodiversità da tutti i punti di vista, comunque la misuri. Per dare qualche numero: 60mila animali tipici, 10mila tipi di piante vascolari e 132 ecosistemi diversi. L’altra buona notizia è che nel nostro Paese proteggiamo già il 22% del territorio sotto questo aspetto, risultando molto più virtuosi di altri. Come sempre, però, chi è più ricco ha più da perdere: quei servizi ecosistemici che oggi ci portano valore gratuitamente, se continueranno a ridursi, presenteranno un conto molto salato all’intera economia italiana, compreso il sistema largo consumo. Basti pensare che se togliessimo dagli scaffali tutti i prodotti connessi agli insetti impollinatori scomparirebbe almeno il 50% dell’assortimento. Il punto di vendita, guardato da una prospettiva olistica (e saggia) non è infatti altro che “la casa della natura”.
A dare questa definizione, facendo il punto sulla doppia sfida del clima e della biodiversità, ovvero della transizione ecologica per le aziende, sono stati nel corso di Linkontro Nielsen 2024 Andrea Gangheri, senior sustainability strategist di Quantis, e Telmo Pievani, professore di Filosofia delle Scienze Biologiche all’Università di Padova.

C'è ancora tempo per agire e la prevenzione costa un ventesimo rispetto all'intervento a posteriori

La sensazione rispetto alla sfida climatica è spesso quella “di una valanga inarrestabile alla quale non ci si può opporre, invece si può fare ancora tantissimo, facendo prevenzione”, spiega il professor Pievani: “Sulla rivista Science, grazie all’A.I., hanno calcolato che intervenire sul problema a fatto compiuto costa venti volte di più rispetto alla prevenzione, che non è quindi un costo ma un investimento vero e proprio. Quando si vogliono apportare modifiche alla legislazione o introdurre nuove regole green si calcola sempre chi paga oggi quel cambiamento, ma dovremmo invece considerare chi pagherà domani il prezzo e quanto sarà alto se non interveniamo. È impossibile, infatti, prevedere dove saremo nel 2050 o 2100, perché dipende tutto dalle scelte che facciamo oggi e che siamo ancora in tempo per fare: se noi fossimo, ad esempio, così bravi da proteggere la metà del nostro territorio entro il 2050 (che non vuol dire chiuderne l’accesso, ma limitare tutte le attività che ne riducono la biodiversità) arresteremmo la perdita di biodiversità definitivamente nel giro di qualche decennio. Se però non facciamo un’autentica transizione ecologica, e velocemente, lo scenario economico non sarà affatto positivo, questo va detto con forza. Oggi siamo ad un aumento della temperatura globale di 1,2° gradi e se arrivassimo al 2030, che ormai è vicinissimo, e a +1,5° gradi senza agire con risolutezza ci sarà una débâcle importante per tutti. Noi viviamo infatti su Gaia, su un pianeta interamente connesso, e non ha senso ragionare in compartimenti stagni, pensando che qualcosa non ci tocchi”.

Mitigazione e adattamento per plasmare il miglior futuro possibile

Agire presto, dunque, ed agire insieme, superando anche le divisioni di filiera e tra filiere, condividendo i dati con la massima apertura , investendo in un’innovazione scalabile e di lungo periodo. “Ad oggi le aziende hanno investito molto sulla parte della mitigazione del problema (riduzione della pressione e aumento della resilienza), ma bisogna investire molto anche sull’aspetto dell’adattamento, modificando le pratiche e le materie prime e riducendo la dipendenza da specifici servizi ecosistemici”, sottolinea Gangheri. Le best pratice in atto cui ispirarsi nel settore retail e largo consumo ci sono, come l’alleanza di 7 anni tra Walmart e PepsiCo in ambito di agricoltura rigenerativa, o quella di 70 aziende francesi capeggiate da L’Oréal, unite per calcolare l’impatto ambientale in modo completo, fare sistema e fissare regole del gioco comuni.
Tra l’altro, come evidenzia il professor Pievani, “la stessa visione del mondo dei consumatori sta cambiando molto più rapidamente di quanto noi modellisti ci aspettassimo, con minoranze molto rumorose e in aumento sensibili al greenwashing e in generale ai temi ambientali. Un trend in atto anche nei Paesi emergenti e non solo in Italia, che continuerà a crescere e che bisogna essere lungimiranti nel comprendere ed intercettare”.

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