Ormai sappiamo quanto sia importante fare esperienze all’estero di studio o di lavoro. E non è solo una questione di lingua, ma di forma mentis e soft skills che si sviluppano di più in contesti internazionali. Prima tra questi è la velocità di pensiero per adattarsi a culture diverse e muoversi bene all’interno di esse sfruttando i concetti di meritocrazia e di best practice. È chiaro che è utile disporre di manager che abbiano vissuto queste esperienze, accrescendo le loro conoscenze che, quando rientrano, possono implementarle nel loro know-how all’interno delle nostre realtà italiane. Questo dovrebbe essere un circolo virtuoso, per cui si studia in Italia o all’estero, si fanno esperienze formative e professionali fuori, e poi si può tornare forti delle nuove competenze acquisite. Nell’attuale scenario globale, quindi, la circolazione dei talenti dovrebbe continuare a crescere e invece l’Italia presenta un gap negativo di attrattività: per ogni 6 talenti che partono, ne arrivano 5. Negli anni, oltre 300mila talenti (dati Ocse, 2015) hanno lasciato il nostro Paese, contribuendo così ad aumentare il deficit di competitività e impoverire la nostra società. In questo modo ci si ritrova in un circolo vizioso dove si parte e alla fine non si torna. Forse non siamo attrattivi? Per contrastare questo fenomeno, già dal 2012 con la Legge c.d. Controesodo, sono rientrati più di 4.000 talenti apportando un aumento al nostro Pil di circa 500 milioni. E oggi finalmente è passato il Ddl Bilancio 2017 con un pacchetto di sgravi e incentivi fiscali per agevolare il rientro di manager italiani dall’estero e attrarre manager stranieri per rendere le aziende più culturali e competitive.
Talenti in movimento che rischiano di non tornare
Gli opinionisti di Mark Up (da Mark Up n. 257)