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Tagliare i prezzi nel retail per recuperare competitività nonostante la difficoltà di ridurre i costi dopo i sacrifici messi in atto nell'ultimo biennio. Una situazione che spinge molti operatori verso l'unica strada rimasta percorribile: abbattere il prezzo dell'assortimento per conquistare nuovi clienti. È una strada percorribile? Lo chiediamo a Riccardo Trentini, che a fine 2012 è entrato a far parte della società di consulenza globale Oliver Wyman con l'incarico di responsabile della Practice Consumer and Industrial Value. La prima domanda strategica da porsi è se davvero si vuole condurre una battaglia di questo tipo o meno. Un quesito che può apparire a prima vista banale, ma che in realtà si porta dietro una serie di ragionamenti sullo stato di salute dell'azienda, sulle motivazioni di una scelta radicale, sulla capacità del management di coinvolgere l'intero team di collaboratori nella sfida. "Ridurre il prezzo dei beni in vendita in misura significativa, se non si cambia in modo radicale il modello di business, può portare dritti al fallimento", taglia corto l'esperto, sottolineando come oggi sia in grande difficoltà anche il retail alimentare, dove gli utili, quando ci sono, solitamente non superano i pochi punti percentuali. "Nei prossimi anni assisteremo a un ripensamento radicale delle modalità di fare business da parte di numerose catene retail, sia nel Food che nel Non Food. E chi non agirà in profondità, e nel contempo con rapidità, sarà destinato a inesorabile declino".
Sulla percezione del prezzo da parte dei consumatori incidono in realtà fattori che a prima vista sembrerebbero meno rilevanti, come per esempio il layout del punto vendita: "Un arredamento particolarmente curato o raffinato tende a trasmettere l'idea di un negozio in cui non si sta comprando a buon mercato", continua Trentini. "Al contrario, un layout più simile a quello di un semplice magazzino, anche se magari meno piacevole dà però immediatamente al consumatore l'idea di un acquisto low-cost". La situazione cambia per gli acquisti "a destinazione": è il caso, ad esempio, dei prodotti di consumer electronic, facilmente comparabili in termini di prezzo, o degli attrezzi sportivi, venduti oramai sempre più in category killer. "In situazioni come queste, in cui l'attenzione del consumatore al prezzo è molto elevata, mirata su poche categorie o addirittura su un singolo prodotto ad alto scontrino, non ci sono molte opzioni di scelta strategica: o si abbatte davvero il prezzo di vendita o non si fa la differenza".
Tagli e ottimizzazioni
Nell'uno e nell'altro caso, la strada per abbattere i prezzi passa necessariamente per due sentieri: la capacità di tagliare i costi e di ottimizzare le vendite. Di solito la prima cosa alla quale pensano i retailer in questi casi è di negoziare al ribasso con i fornitori. "E qualcosa si può ricavare su questo versante, soprattutto se si utilizzano sistemi sofisticati di analisi dei margini dei produttori. Eppure da sola questa strategia non è sufficiente", spiega il partner di Oliver Wyman. Nel non-food risparmi importanti si possono ottenere attraverso il global sourcing, "che non significa automaticamente rifornirsi in Cina, India o altri Paesi con un costo del lavoro sensibilmente più basso del nostro. È possibile farlo anche presso aree geografiche più vicine, a patto che il retailer sia dotato di una struttura professionale in grado di fare attività di scouting".
"Può apparire superfluo sottolinearlo, ma una via importante per recuperare marginalità consiste nell'ottimizzare gli stock", riprende Trentini. "Bisogna analizzare continuamente le dinamiche del mercato per evitare acquisti sovradimensionati rispetto alle reali capacità di vendita. Nel tessile, per esempio, non bisogna dare per scontata la necessità di rinnovare continuamente le collezioni: ci sono prodotti come la biancheria intima che non passano di moda da un mese all'altro". È pur vero, comunque, che l'idea di un assortimento statico non invoglia a entrare in negozio. "La ricetta vincente sta nel trovare il giusto mix tra prodotti nuovi e permanenti" aggiunge. Altri spazi di manovra riguardano i costi indiretti. "Con i consumi che continuano a calare, non è scontato che tutti i pdv aperti in passato debbano restare in vita", secondo Trentini. "Anche gli orari di apertura possono essere rivisti, a cominciare da quelli mattutini (nel caso le vendite non li giustifichino) e dalle aperture domenicali. Vanno individuati i giorni e gli orari nei quali i consumatori hanno tempo a disposizione per fare acquisti". Quanti retailer si stanno già muovendo in questa direzione? "Sicuramente in molti hanno avviato una riflessione in merito", conclude.