
Anche se la tradizionale visione manichea di un Nord simbolo di efficienza e produttività e un Sud più arretrato in termini di sviluppo e gestione, soprattutto in ambito pubblico, ha generato pregiudizi mai del tutto cancellati, è innegabile che la volontà politica di recuperare questo divario porterebbe un bel po’ di stimoli e motivi nel far crescere il Pil italiano. Il Sud Italia è la metafora geo-sociale di tutte le grandi e fallite potenzialità italiane nelle grandi opere pubbliche (si pensi al famoso Ponte sullo Stretto di Messina). Il Sud è anche metafora, suo malgrado, spesso ingiustamente, dei mali che affliggono la nostra Penisola. E gli investitori stranieri ragionano ancora per luoghi comuni, i più duri a morire, perché tanto meno si ragiona e si analizza, tanto più si giudica per etichette prefabbricate. Ma il Sud è molto più dei pregiudizi alimentati dalla sua stessa storia, dalle contraddizioni della sua gente. Basterebbe che cinque delle più grandi aree metropolitane d’Italia (Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo e Catania) fossero gestite con i criteri di efficienza non dico svizzera, ma, ben più modestamente, milanese-lombarda (o emiliano-romagnola o veneta), il Pil farebbe un salto di almeno 1 punto percentuale l’anno. Vogliamo parlare dell’immenso serbatoio turistico-culturale del Sud? C’è bisogno di ricordare come sono (o erano, fino a pochissimo tempo fa) gestiti La Reggia di Caserta o il sito archeologico di Pompei, per ricordare solo due delle tantissime attrazioni turistiche che un glorioso passato ha lasciato in eredità ai cittadini meridionali? E dire che il Sud non soffre neanche di carenze di centri commerciali (tutt’altro), ma una potenziale desertificazione degli investimenti e degli sviluppi. Se guardiamo i più grandi progetti arrivati al taglio del nastro quest’anno, noteremo che il Nord li concentra tutti. Si tratta di una realtà palesatasi durante il primo Mapic Italy, tenutosi a maggio a Milano, nel quale si sono confermati i grandi progetti in via di sviluppo e apertura da qui al 2017-2018: si parte da Arese (IlCentro) per arrivare a Ikea Centres a Roncadelle, Gallerie Commerciali Italia (Auchan) a Bussolengo, a Fano (4° trimestre 2017) e a Rescaldina il cui ampliamento è previsto in consegna per il 2018. Come ricorda (si veda il box a pagina 20) Silvia Gandellini di Cbre, la società che ha curato uno degli studi più recenti e interessanti sul ruolo del Mezzogiorno negli investimenti, non sono mancate operazioni importanti anche nel Sud con Blackstone ed Ece; ma siamo nel campo delle eccezioni. E che ci sia un problema di polarizzazione geografica a sfavore del Sud degli investimenti e degli sviluppi, lo conferma, statistiche alla mano, Fabio Porreca, ceo di Svicom, una delle più importanti società di commercializzazione e gestione, che ricorda, rispondendo all’evidenza dei dati che vedono nel Nord concentrarsi il 65,7% degli investimenti (2015), lasciando al Sud solo il 2,3% (il Centro assorbe il 13,6%), “quanto sia importante non basarsi esclusivamente sui dati generali, ma partire anche da confronti più puntuali tra centri performanti e centri non performanti: in questo senso nel Sud si trovano centri commerciali con produttività maggiore di analoghi insediamenti nel nord”. Porreca sostiene che nel Sud si può trovare un centro commerciale con tasso di “arrears” dell’1,5% contro il 6,7% del centro commerciale al Nord, un footfall di oltre 5,1 milioni contro i 3,3 milioni dell’esempio settentrionale, e una produttività per mq di 3.835 euro versus i 2.170 euro al mq del centro al Nord. Il discorso di Porreca collima con le considerazioni di Ece in riferimento alla Cartiera di Pompei, il centro commerciale acquisito dalla tedesca Ece, Jerry Boschi che di Ece è il country manager, sottolinea: “crediamo nelle potenzialità dell’asset. Quando valutiamo l’acquisto di un centro commerciale ci basiamo sulle caratteristiche specifiche del centro e sul suo bacino d’utenza, che è indipendente dalla posizione geografica. La performance storica del centro, il layout, la composizione dei tenant e la tipologia, oltre alle altre potenzialità del bacino, sono indicatori fondamentali per la nostra scelta. In particolare oggi i proprietari di centri commerciali sono molto attenti alla qualità dei retailer presenti nel centro, soprattutto se internazionali e questo vale per ogni centro, a prescindere dalla location”. È un dato di fatto che il Sud soffra di un gap rispetto al Nord in termini di economia. Però secondo alcuni manager e investitori questo gap non comporta necessariamente conseguenze negative sui centri commerciali perché sono le stesse competenze necessarie per gestire sul lungo periodo un centro commerciale. I property e gli asset manager devono studiare delle azioni sul lungo periodo da applicare giorno per giorno, che siano tagliate su misura sulle caratteristiche specifiche del singolo centro. Per gestire al meglio un centro commerciale è importante conoscere il proprio bacino d’utenza. Ogni centro esige una gestione tagliata su misura e questo vale per ogni regione italiana. “Il Sud Italia, con oltre 20 milioni di abitanti, comprese Sicilia e Sardegna, ha circa 200 centri commerciali con superficie superiore ai 5.000 mq di Gla. Molti di questi centri vengono gestiti con successo e di conseguenza rappresentano dei buoni asset immobiliari in cui investire: questa potrebbe essere un’opportunità intressante sia per gli investitori nazionali che internazionali. Inoltre la gestione dei centri nelle regioni del Sud è agevolata anche da una minore concorrenza all’interno del bacino: se da una parte la mancanza di prodotto potrebbe risultare uno svantaggio, dall’altra può diventare un’occasione per coloro che vogliono investire nel Meridione. Al di là delle virtuose eccezioni, ricordate da Gandellini e Porreca (come Centro Campania o Mongolfiera a Lecce, ma non sono le sole), le statistiche mostrano, soprattutto attraverso i dati medi, una realtà piuttosto allarmante: le vendite al mq di iper+super al Sud (dati Nielsen-Mark Up 2016) è di 2.477 euro in area 4 contro i 4.221 euro dell’area 1 e i 4.081 euro dell’area 3. Ci vogliono grandi nomi internazionali che investono sul sud, come ha fatto Apple a Napoli, e investimenti seri sulle infrastrutture a partire dai trasporti pubblici e privati.
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