"È sempre un piacere raccontare belle storie milanesi”. Inizia così la nostra intervista con Massimo Innocenti, chairman & founder della Spontini Holding.
Spontini è la quintessenza della pizza alla milanese, un classico, che riporta indietro agli anni dell’Università quando di Spontini ce n’era uno solo e ci si trovava tutti lì, poi si sono moltiplicati, grazie a Massimo, trasformandolo in un business di più ampio respiro: “Andiamo un po’ indietro negli anni, in via Spontini, da cui il nome della Pizzeria, il locale era, come usava negli anni 50, un negozio di cibi pronti, simile a molte delle botteghe aperte da toscani trapiantati a Milano che vendevano olio, farine e piatti da asporto.
Noi siamo di Chiesina Uzzanese, provincia di Pistoia, vicino a Montecatini. Un cugino di mio padre era il proprietario di Spontini e nel 1953 decise di trasformarla in pizzeria. Già avevano cominciato a fare le pizze, ma continuavamo ad avere i piatti pronti”. Così buttarono via tutto, misero il forno a legna e cominciarono a fare la pizza al taglio.
La ricetta derivava da un’idea siciliana: lo sfincione, cotta in teglie di ferro con base pomodoro, dove i contadini siciliani aggiungevano quello che avevano, se erano vicino al mare prodotti del mare, se nell’interno prodotti della terra. A cavallo delle due guerre qualcuno, durante un viaggio in Sicilia, scopre questo prodotto, lo porta in Toscana, lo ripulisce un po’ e aggiunge la mozzarella, e lo chiama pizza. In realtà è una focaccia alta molto morbida, cotta soffritta in olio non d’oliva, all’inizio di semi vari oggi usano soia. Nasce così la pizza al taglio, tagliata in grandi spicchi, con il coltello e la paletta.
La pizza “alla milanese” ...
Nel 1953 a Milano non c’era nessun altro, nessun napoletano, romano o pugliese che facesse pizza, la pizza era una novità assoluta. Questo tipo di negozio quindi ebbe subito successo, faceva solo pizza: mozzarella e pomodoro, chi voleva poteva aggiungere le acciughe.
Poi il negozio diventò sempre più grande; all’epoca, la pizza veniva consumata con il vino, non si beveva né acqua né birra, così si trasformò, piano piano, quasi naturalmente.Nel 1977 Amleto Banti, il fondatore, decise che era arrivata l’ora di smettere e chiamò la famiglia, tra cui mio padre, che, con un amico, sempre toscano, rilevò l’attività, e la bottega storica di Spontini passò in mano alla famiglia Innocenti.
Io cominciai a lavorare da subito, perché volevo studiare a bottega, nel 1978 cominciai a dare una mano, avevo 19 anni. Poi la mia vita si spostò tra Italia e Stati Uniti, matrimonio, figli. Nel 1987, ritornai definitivamente a Milano, rilevando da mio padre l’attività e da lì cominciò la mia storia.
Perchè è rimasta una bottega unica per tanti anni?
Perché subivo l’influenza della cultura toscana che insegnava che con una bottega si costruiva la vita. Bastava così. Era un classico: prendere in gestione un negozio, aprire un’attività di ristorazione, poi acquistare le mura del negozio per assicurarsi l’attività, poi si comprava la casa possibilmente sopra, di fianco o a lato, per essere sempre lì, poi il passo successivo ricomprare la casa nel paese di provenienza, dove avevano sofferto ed erano scappati, poi la casettina in montagna o al mare, mandare i figli a studiare ... tutto con una bottega. Intanto, avevamo un successo strepitoso, eravamo conosciuti in tutto il mondo, migliaia e migliaia di persone tutti i giorni, tutto su passaparola, eravamo famosi persino in Giappone perché gli studenti del Politecnico tornavano a casa e raccontavano, cose bellissime, e non c’era nemmeno Facebook. Continuammo a crescere e inziai a comprare. Nel 2007, con un amico e socio finanziario ho cominciato il percorso, aprendo nel 2008 il negozio di Viale Papiniano, il primo. All’inizio non è stato facile, perché la gente comunque andava sempre in Via Spontini, poi affittammo il negozio di Via Marghera, a maggio 2010, poi Cenisio a fine 2011, cominciammo con un’apertura ogni due anni. Nel 2013, aprimmo Cinque Giornate e Duomo nel 2014. Poi l’estero. Con la Spontini Holding, cominciammo a pensare di moltiplicarci, e ad entrare nei centri commerciali, a vedere opportunità nel travel retail. Ci chiamò Grandi Stazioni e aprimmo a Milano Centrale. Intanto, sviluppammo all’estero: il Giappone dove oggi abbiamo quattro locali, due anni fa il contratto con una grossa azienda Kuwaitiana e nel 2018 abbiamo aperto un negozio in Kuwait.
È vero che vi quotate in borsa?
Sicuramente i prossimi cinque/sette anni io sarò sempre al timone dell’azienda, quindi annuncerò un cambio al vertice, entrerà probabilmente uno dei miei figli, alla fine del suo percorso scolastico, oggi ha 22 anni e sta studiando management in Bocconi. Ci stiamo strutturando per il prossimo cambio, ci sarà un affiancamento per la successione. Nei prossimi anni mi piacerebbe rimanere indipendente, poi è il mercato che fa ...
Lei va ancora in negozio?
No, solo ogni tanto, mi fermo un’ora e poi me ne vado. Spesso in Buenos Aires perché è lì dove è partito tutto ed è dove vive papà -la casa e la bottega sempre vicine- e quindi passo a trovarlo.
E papà che dice?
Ogni volta che legge qualcosa piange. Ha 84 anni, è in forma ed è estremamente felice, non avrebbe mai immaginato che questo sarebbe potuto accadere, questo lui non l’aveva previsto; è molto orgoglioso.