Stando al dichiarato, una larga parte della distribuzione sarebbe disposta a cambiare radicalmente il proprio assortimento per essere più sostenibile, ma nella pratica questo non si fa. Perché su questo tema è così difficile passare all’azione? Per diverse ragioni. Una su tutte: la sostenibilità è difficile da misurare e non si ha una sensazione di piena conoscenza del tema, ma c’è anche una questione di individualismo e mancanza di incontro percepito tra interesse personale e collettivo. Da ultimo, ma non per importanza, la storia e l’attualità dimostrano che siamo abituati ad agire solo quando si tocca l’emergenza con mano.
Questa lo scenario delineato a Linkontro NielsenIQ 2023 da Davide Pellegrini, insegnante all’Università degli Studi di Parma e direttore scientifico del master Gs1 Italy in retail, brand & digital management.
“Se vogliamo modificare i comportamenti di consumo -sottolinea Pellegrini- dobbiamo partire dai comportamenti d’acquisto (cons-shopping) e valorizzare in punto di vendita i prodotti sostenibili, che non significa solo pensare al packaging. Il gs1 digital link permette, ad esempio, di capire tutto il Dna sostenibile di un prodotto”.
Centrale per il successo, in questo senso, il tema della collaborazione. “L’idea della cultura proprietaria, del fare tutto in casa perché si è i più bravi della classe non funziona e la fiducia si costruisce insieme. Solo in presenza di economie di rete si creano spinte gentili all’emulazione (nudging), ovvero di stimoli che non agiscono sulla razionalità bensì sulla nostra parte emotiva”. Ma esiste spazio per collaborare o siamo intrappolati da priorità come il prezzo? “La prima cosa da rilevare è che qualcosa è cambiato davvero, la distanza tra privato e pubblico si è ridotta, l’idea di cittadini che sono co-worker con le imprese di cui credono all’impegno è realtà: la convergenza tra aziende e società è in atto, c’è una vera reciprocità tra i due fronti e va coltivata. Non sottovalutiamo, in questo senso, i piccoli, il ruolo delle terze parti e delle start-up che agevolano l’innovazione di sistema”. In generale, per evitare giochi a somma zero serve “un patto di filiera tra imprese-istituzioni-università e centri di ricerca per sperimentare soluzioni di sistema e misurarne l’impatto in termini di reputazione, fiducia e azioni”. Un piccolo esempio italiano è quello del protocollo d’intesa tra Unipr e Mistero della Salute per testare e misurare nuove forme di “shopper marketing for conscious shopping” nei reparti dell’ortofrutta che vede in prima linea Federdistribuzione, Ortofrutta Italia e NIQ. Senza cooperazione, invece, il rischio sono iniziative come quelle di alcune aziende francesi, che hanno creato spontaneamente una sorta di etichetta a semaforo (non il Nutri-score, ma il solco è quello) che dà un punteggio al prodotto per impatto ambientale. “Etichette a semaforo come questa sono pericolose perché funzionano benissimo nell’orientare i comportamenti e, proprio per questo, vanno gestite bene”. Non fare da soli, dunque, ma non appoggiarsi nemmeno esclusivamente al digitale, perché la creazione efficace di un legame di fiducia con i consumatori passa meglio dalla fisicità e dal mondo reale, dove il coinvolgimento è sempre più alto.