L’impressione è che in questi anni nessuno sappia prevedere con esattezza i veri motivi del rincaro delle materie prime alimentari. Le variabili in gioco sono infatti tantissime, spesso non governabili, e persino la vulgata economico-giornalistica finisce a volte per creare confusione, criminalizzando pochi imputati, sempre gli stessi, e senza riuscire mai a raccontare la natura multifattoriale di un fenomeno davvero molto articolato. Talmente complesso che non c’è neppure un’interpretazione unanimemente condivisa tra gli osservatori più esperti. Ciò che accade oggi non era infatti mai successo in passato, rendendo ancora più composito il quadro. Dopo i lunghi decenni in cui i prezzi delle materie prime scendevano regolarmente per l’effetto congiunto del miglioramento della produttività e della bontà dei raccolti, si è assistito intorno al passaggio del millennio a una condizione di grande volatilità dovuta a fattori spesso intrecciati tra loro. Da un lato i processi di urbanizzazione, la crescita dei redditi e il miglioramento degli stili di vita in Paesi vastissimi dal punto di vista demografico, hanno fatto crescere la domanda con conseguente aumento del prezzo delle principali derrate alimentari di base. Dall’altro, la sottrazione di grandi superfici agricole tradizionalmente vocate al consumo alimentare, e ora trasformate in colture destinate alla produzione di biocarburanti, ha creato una doppia dinamica al rialzo per cui l’andamento del prezzo di alcune granaglie si è legato indissolubilmente a quello del petrolio; e al contempo la mancata raccolta delle precedenti colture ha generato scarsità sui mercati e quindi ulteriore aumenti di prezzo anche in quelle. Ma non è finita. A tutti questi elementi se ne sono aggiunti prepotentemente altri due, o meglio sarebbe dire tre: il primo è il cambiamento climatico. Il secondo è l’ovvio esito borsistico di tutti questi fenomeni messi insieme. Ma l’attore che più di altri viene indicato come responsabile dell’aumento dei prezzi delle materie prime è la cosiddetta speculazione finanziaria.
Chi specula e perché. La variabilità dei prezzi dei prodotti agroalimentari è stata spesso collegata alle dinamiche del prezzo del petrolio. È dalle quotazioni di quest’ultimo che derivano i prezzi dei prodotti chimici utilizzati nei fertilizzanti, così importanti per l’agricoltura a livello globale. Ed è ancora dal prezzo del petrolio che dipendono le fortune delle energie prodotte da fonti rinnovabili come il biodiesel e l’etanolo.
Quando il prezzo del barile supera la fatidica soglia dei 55 dollari c’è già convenienza a trasformare le colture di mais in etanolo, con l’effetto di creare però nuovi aumenti nelle quotazioni del mais stesso. Non solo, al cresce- re della superficie agricola di mais per produrre biocarburanti si riduce quella coltivata a grano o riso, provocando così scarsità (e quindi pressioni al rialzo) sui prezzi di queste ultime produzioni. La doppia dinamica petrolio-granaglie è ben conosciuta in ambito economico. Tanto da essere accompagnata da operazioni speculative da parte di operatori finanziari che poco hanno a che fare con il settore agroalimentare. Ed è su di loro che si condensano le principali accuse da parte di economisti e politici.
L’articolo completo su Mark Up n. 249