Speciale Cibus 2016 – Dal convegno di Mark Up-Gdoweek: Il pesce vola con il vento in poppa

Occorre spingere sul concetto di brandizzazione del mercato: i margini di sviluppo non mancano: basti pensare che l’Italia è solo al settimo posto per consumo in Europa

È in netta controtendenza rispetto al trend drammatico delle carni rosse: il consumo di prodotti ittici non solo tiene ma evidenzia incrementi record: +4,8% a (at gennaio-novembre 2015/sul 2014, fonte Nielsen). Un po’ per moda, un po’ per la crescente attenzione nei confronti di una alimentazione leggera, ma indubbiamente anche merito dell’evoluzione del reparto ittico da parte delle insegne della gdo. Ovviamente i margini di sviluppo non mancano: basti pensare che l’Italia è solo al settimo posto per consumo in Europa. Proprio  su questo si sono confrontati i relatori intervenuti a Cibus 2016 al convegno “Il mercato è sempre più blu: la gdo e le aziende del settore ittico si incontrano” patrocinato dal Mipaaf.

Interessante, anche se un tantino futuribile, la visione prospettata dall’esperto di marketing Gabriele Chiodi (Chiodi Consulting), che auspica una progressiva brandizzazione dell’offerta, funzionale anche a una ulteriore segmentazione delle proposte di porzionati/ricettati. “Il prodotto ittico fresco, sia tal quale sia porzionato, è ancora troppo anonimo e indifferenzato –spiega Chiodi. Il consumatore vuole sapere cosa compra e ha bisogno di fidarsi/affidarsi a una marca”.

Una funzione, quella di rassicurare il cliente, oggi svolta unicamente dalle insegne della gdo, come sottolinea Stefano Faveri (Auchan) che aggiunge: “Non siamo gli orchi del mercato, oggi la collaborazione tra acquisti e produzione è molto solida, grazie ad accordi nazionali/internazionali di durata almeno annuale sulla base dei quali concordiamo fabbisogni e disponibilità, nonché le politiche promozionali”.

A spingere sul concetto di brandizzazione del mercato è Claudio Sanguin, direttore commerciale di una primaria azienda importatrice di prodotti ittici, che evoca lo scenario di uno scaffale del pesce porzionato lungo quanto quello delle carni avicole, rimarcando però un fattore di criticità dell’offerta nazionale. “Nonostante quasi 9mila km di coste –spiega- e lo sviluppo di alcuni consorzi, in Italia l’acquacoltura è carente, e questo si traduce in una sofferenza in termini di disponibilità/continuità delle forniture. Oltre che nell’assenza di grandi aziende capaci di investire in innovazione e politica di marca”.

Pur senza negare la necessità di modernizzazione del settore produttivo nazionale, Marco Guerrieri (buyer Coop Italia) ha rimarcato che: “In termini di volumi l’acquacoltura nazionale può migliorare, ma va detto che il sistema di controlli è di tutto riguardo. Produciamo qualità non quantità e questa va comunicata, in ambito sia di formazione sia  di informazione del consumatore”.

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