Donne e lavoro: equazione a elevato grado di complessità, soprattutto se si parla di donne in difficoltà perché vittime di violenza, perché sono da sole in un Paese straniero o sono in carcere o ne sono appena uscite. Ad ascoltarle, accoglierle e sostenerle in un percorso di rinascita che trova il suo coronamento nella capacità di trovare un impiego e conservarlo, ci sono associazioni e cooperative, circuiti protetti, ma lontani dalla logica assistenzialistica. Non chiedono un aiuto, ma propongono uno scambio che fa guadagnare tutti. Ecco alcune storie.
L’esperienza di Casa Chiaravalle (all’interno di rete Passepartout, di cui è presidente Silvia Bartellini) è partita dal 2017 per formare donne italiane e straniere, accogliendole (anche insieme allo loro famiglie) in questo edificio sequestrato alla mafia. Accanto al sostegno diretto, i privati possono collaborare per attivare risorse per tre progetti: attivare una cooperativa sociale agricola nel 2019; ristrutturare due capannoni a disposizione di aziende per farne spazi di aggregazione e trasformare in location ricettiva di alto livello da affidare a 5 donne, una villa con parco a Ello (Lc), la prima disegnata da Vico Magistretti.
Cristina Carelli, coordinatrice Cadmi, Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano, racconta del circolo vizioso innescato dalla violenza nelle relazioni: è un vissuto depauperante, la persona assume lo sguardo del maltrattante, si sente incapace e vede un orizzonte sbarrato. L’operatrice, donna, propone un rispecchiamento positivo che riporta alla luce competenze e potenzialità, un ascolto delle storie personali senza giudizio, nell’anonimato e nella segretezza. Sul sito dell’Associazione appare sempre l’icona “Nascondi le tracce”. La relazione con le aziende è fondamentale per costruire un percorso: per le donne coinvolte è un “darsi un tempo per vedersi nella nuova attività”; per le aziende una riflessione sui propri modelli culturali. “Vogliamo stare vicine alle donne, le nostre interlocutrici primarie -dice Cristina Carelli- ma anche interagire con tutti gli ambiti della società per portare un modello diverso ed evidenziare i modelli culturali e di comportamento che, nelle relazioni, possono essere prodromici alla violenza”.
L’incontro in Cadmi ha fatto nascere la Cooperativa I Sei Petali. “Un luogo di ricollocazione per donne uscite da percorsi di violenza -spiega Nadia Cezza, presidente e una delle sei fondatrici-, ma anche la realizzazione del desiderio di aiutare altre donne rendendole partecipi dell’esperienza fatta”. Nel 2016 sono partite con un’attività di accoglienza temporanea low cost a Milano per chi ha bisogno di cure sanitarie, per studio o lavoro, in collaborazione con il Comune di Milano e Airbnb. Nel 2017 l’attività si allarga ad altre donne prima con lo sportello orientamento lavoro e nel 2018 con percorsi gratuiti di orientamento all’imprenditorialità femminile. Il ruolo delle aziende è di sostegno del percorso formativo ed eventuale inserimento lavorativo. “Non è detto che finito il corso decidano di intraprendere un’attività imprenditoriale -aggiunge Nadia Cezza-: l’obiettivo è fare loro prendere in considerazione questa possibilità, poi capire se è ciò che veramente interessa loro”.
Il corso di sartoria accomuna alcune esperienze milanesi, tra cui ActionAid nel progetto Donne, Identità e Lavoro rivolto a vittime di violenza domestica. Il corso risponde a un’esigenza del mercato del lavoro, ma è utile a sviluppare le competenze trasversali che serviranno alle donne per rimettersi in gioco: lavorare in gruppo e in autonomia per un obiettivo, usare strumenti tecnici, precisione, puntualità. “Le aziende sono coinvolte in diversa parte -dice Vittoria Pugliese, responsabile programmi su Milano e Lombardia di Action Aid- come finanziatori, nella simulazione dei colloqui di lavoro, per conoscere le donne ed eventualmente accoglierle per tirocini o lavoro”. Attiva su fronti a livello internazionale, in Italia il progetto Cambia Terra a Bari si rivolge alle donne sfruttate come braccianti in agricoltura, mentre per le aziende organizza corsi sulla decostruzione degli stereotipi di genere.
Dalla sartoria teatrale alla moda: la cooperativa Alice offre a donne detenute spesso la prima vera occasione di lavoro, oltre ciò che può offrire l’amministrazione penitenziaria. Il laboratorio storico si trova nel carcere di San Vittore a Milano: partito come sartoria teatrale, poi è nata la collezione, Sartoria SanvitTore, la gadgettistica Gatti Galeotti, con produzione anche per le aziende, e il negozio in via G. Ferrari a Milano, dove lavorano le donne che possono uscire dal carcere come misura alternativa o post pena. “In 25 anni abbiamo incontrato circa 300 donne, dai 30 ai 50 anni -spiega Luisa Della Morte, responsabile sociale di Alice-. Il reato non ha nessuna importanza: cerchiamo di valorizzare le persone che hanno le condanne più lunghe per lavorare sulla formazione più a lungo”. Il momento peggiore è il limbo in attesa del processo e della condanna definitiva, quando è ancora più difficile prendere in mano la propria vita e cogliere opportunità. La collaborazione con le aziende ha una doppia valenza: l’inserimento delle persone e la formazione aziendale sulla mediazione dei conflitti che sviluppa la conoscenza reciproca. “I detenuti sono le persone verso le quali c’è maggiore diffidenza -dice Luisa Dalla Morte- ancor più che verso gli stranieri”.
Gli abiti entrano in gioco anche per la filiale romana della statunitense Dress For Success fondata da Francesca Jones, presidente, un’associazione che ha incontrato l’interesse di aziende e volontariato. Offre diversi servizi: Carrier Center, orientamento al lavoro, Suiting, la donazione dell’abito per il colloquio e la prima settimana di lavoro, e Professional Women’s Group, seminari di crescita professionale dal 2019. Collabora con Pfizer, Bulgari, Qvc, Pgg e Hogan, per l’orientamento con Asitor Associazione orientatori italiani e Adifor. In Usa ha anche una “costola” al maschile, Carreer Gear. Per l’obiettivo dell’autonomia lavorativa valorizza e recupera le capacità delle donne, espresse anche in look più corretti come manifestazione della propria personalità.
Donne e povertà è il tema del progetto Varcare La Soglia della Fondazione L’Albero della Vita. “Incontriamo donne con basso livello scolastico e di autostima -racconta Giuseppe Di Rienzo, referente Area Povertà della Fondazione- ma se diamo loro gli strumenti per rientrare o entrare nel mondo del lavoro, vediamo che possono diventare loro stesse il fattore di cambiamento della situazione famigliare”. Attraverso il bilancio delle competenze si aiuta la persona a rileggere la propria storia per capire dove si sono generati i nodi che ne hanno impedito la realizzazione e definire la strategia per raggiungerla. “Il tema dell’isolamento sociale -prosegue Di Rienzo- è conseguenza della povertà, del disagio e della precarietà. Dobbiamo aiutare queste famiglie a fare gruppo, capire che anche nella difficoltà, possono dare qualcosa all’altro; questo funziona anche per l’autoefficacia e il senso di utilità”. La Onlus crea un ponte con le aziende: nel 2017 anche una collaborazione con Auchan, incrociando le loro esigenze con il proprio database, accompagnando le donne al colloquio e dopo, per conservare il lavoro. Tante esperienze diverse tutte meritevoli di attenzione, i cui progetti crescono e si modificano insieme alle persone coinvolte.