Dice Wikipedia che la sicurezza (dal latino sine cura, senza preoccupazione) può essere definita come la "conoscenza che l'evoluzione di un sistema non produrrà stati indesiderati". In termini più semplici si può dire: sicurezza è sapere che quello che faremo non provocherà dei danni. La sicurezza totale si ha in assenza di pericoli. E se si riducono gli assortimenti la sicurezza migliora: il controllo è oggettivamente più agevole.
1. Ryanair non è low cost
Nel numero di settembre abbiamo affrontato il tema dello svilimento di alcuni termini, fra cui il low cost. Molti giornali, non conoscendo o evitando il significato del termine, difeso da Assolowcost, hanno impostato molti articoli e analisi avvicinando il low cost al prezzo basso, come se questo fosse l'unico asset positivo. Tutti sappiamo che ovviamente non è così, ma la reiterazione di questo concetto è dannosa per le reti che fanno del low cost-high value il loro posizionamento e la loro missione.
A volte a smantellare il significato dei nomi e la filosofia a loro collegata ci pensano direttamente gli operatori: in questo caso quando la frittata è fatta è difficile ricostruire un'immagine solida.
Facciamo un esempio. Chi è considerato il capostipite del low cost? Ryanair, non v'è dubbio. Ha picconato il sistema di business delle vecchie compagnie e del vecchio modo di volare con un nuovo modo basato appunto sul low cost. Il presidente Michael O' Leary per un po' ha seguito un solido impianto di marketing e di comunicazione, logico e funzionale ma poi, preso dalla frenesia del successo, si è lasciato andare a qualche previsione discutibile. Lo scorso anno ha presentato una proposta per volare in piedi con appositi sedili verticali. Poi ha annunciato che avrebbe messo una tassa per i viaggiatori obesi (e sappiamo che non mancano in nessun paese al mondo) e non contento di questo risparmio ha applicato la tassa di un euro per chi deve usare la toilette. Non pago di queste novità ai primi di settembre ecco una nuova trovata: due piloti su un aereo Ryanair sono troppi, soprattutto perché in ogni aeromobile c'è anche il pilota automatico. In caso di bisogno, ha sottolineato O'Leary, una hostess, previo addestramento potrebbe riportare alla base l'aereo. Un errore, come ben si capisce, che vale l'intera strategia. Con la sicurezza non si può scherzare: chi mai per risparmiare è disposto a mettere in gioco la propria vita? Togliete subito Ryanair dal novero del low cost!
2. Ovs/Upim, store brand di marca
Francesco Pugliese, ad di Conad, lo dice con chiarezza (vedere la rubrica Spilli su markup.it): andiamo verso una riduzione degli assortimenti e, a seconda delle categorie, dell'ampiezza e soprattutto della profondità dell'offerta. È un processo generale che riguarda anche il non- food, seppur in un modo diverso. Nei flagship di via Torino-OVS e Upim-Baires a Milano l'ad Stefano Beraldo sta provando di tutto. È soprattutto nel reparto beauty che sta giocando non poche carte. Nell'ex Upim il reparto aveva già una fisionomia, Beraldo è andato oltre. Innanzitutto l'ha brandizzato (Shaka è il nuovo brand) e, forse guardando all'esperienza di Kiko/Percassi e Sephora, ha cercato di dare una fisionomia precisa al visual con espositori molto compatti e inclinati. Ha diminuito le marche in portafoglio e aumentato le referenze in offerta. Di più: ha diviso innanzitutto il display in nail, viso, rossetti e lacche e ha composto il visual dando spazi identici a tutte le referenze di marca presenti privilegiando così i desideri del consumatore piuttosto che quelli dei brand presenti. Probabilmente i fornitori, guardando questo reparto, non salteranno dalla gioia ma, visti i tempi, hanno accettato lo schema beraldiano ob torto collo. Ancor di più: proprio per avvantaggiare lo schema di acquisto del cliente, ha nascosto, come nel caso dei rossetti o delle lacche, la marca per lasciar parlare il prodotto e le sue caratteristiche. Insomma: ha ingabbiato le marche e le ha asservite alla sua visione dei comportamenti di acquisto, creando un'apposita house of beauty quasi fosse un insieme di private label e invece sono primarie marche nazionali e internazionali. Unico neo: non si vedono bene i prezzi. Ve l'avevamo detto che Stefano Beraldo è spumeggiante, no? Il reparto è pronto per diventare un altro, vero e proprio, negozio indipendente.