Scriveva Charles Baudelaire che i veri viaggiatori partono per partire, senza sapere il perché, e che i loro desideri hanno le forme delle nuvole. Forse era vero nel XIX secolo, epoca di romantici e di nuove visioni sul mondo e sulla società. Il verso del poeta francese si addice, però, poco ai viaggiatori di oggi, che sanno bene perché partono e i cui desideri spesso hanno le forme di shopping bag, scatole, pacchi che contengono gli acquisti fatti in giornate di shopping forsennato, oltre a chiese, musei, siti archeologici, grattacieli e varie meraviglie architettoniche di ogni tempo.
Scegliere la destinazione delle proprie vacanze in base alla possibilità di fare acquisiti piuttosto che per la ricchezza del patrimonio storico e culturale di una città è una delle nuove tendenze del turismo, che sta passando dall’essere un’abitudine di pochi a vero e proprio fenomeno di studio da parte degli operatori del settore.
In Italia, almeno un milione e mezzo di turisti scelgono di visitare ogni anno Firenze, Milano, Roma, Torino e Venezia per l’offerta legata allo shopping, spendendo mediamente 110 euro a testa al giorno, con un’alta concentrazione di spesa in abbigliamento (60%) seguita da accessori e pelletteria (17,3%) e cosmetica e profumeria (3,6%).
A fornire una fotografia del legame che unisce shopping e turismo nelle cinque città sopracitate è stata l’ultima edizione di Shopping Tourism Italian Monitor, indagine curata da Risposte Turismo, società di ricerca e consulenza che opera per le aziende del settore turistico. “La capacità attrattiva di una città per i turisti dello shopping -spiega Francesco di Cesare, presidente di Risposte Turismo- consente di conquistare una domanda dall’alta propensione alla spesa per acquisti di vario genere, con evidenti vantaggi per gli esercizi commerciali e conseguenti ricadute sull’intero territorio e sulla sua industria dell’ospitalità. L’Italia, ed in particolare le cinque città al centro della nostra indagine, è già oggi scelta da molti turisti per il desiderio di trascorrere un soggiorno all’insegna dello shopping, ma molti di più potrebbero farlo se si decidesse con maggior convinzione, tutti insieme, pubblico e privato, operatori del retail e del turismo, di puntare su questo fenomeno”.
Secondo l’indagine (realizzata attraverso questionari, su un campione rappresentativo di 2.500 turisti, italiani e stranieri, equamente diviso nelle cinque località oggetto di analisi nel periodo maggio-ottobre 2017), Milano è risultata essere la città con la maggiore quota di turisti che trovano nello shopping la motivazione principale del viaggio (15,4%), seguita da Firenze (6%) e Roma (3,8%). Seguono, staccate, Venezia (1,4%) e Torino (1,1%). La spesa media giornaliera dei turisti intervistati che hanno nello shopping la motivazione principale del viaggio, è risultata pari a 121 euro a Milano, 77,80 euro a Roma e 45,15 euro a Firenze. Sempre il capoluogo lombardo è la destinazione di viaggio per shopping su scala mondiale che ha ricevuto il maggior numero di citazioni (20,3%) tra le oltre 6.000 raccolte (massimo 3 per ogni intervistato), seguita da New York (17,4%), Parigi (16%) e Londra (14,2%).
Considerando l’intero campione di turisti intervistati, e non solo chi viaggia per shopping (il 5,7% del totale), la spesa media giornaliera per gli acquisti nelle cinque città del campione (valore che non include le spese dei turisti per trasporti, vitto, alloggio e ingressi a intrattenimenti e attrazioni come musei, teatri o parchi) è di 28 euro (55,7 euro a Milano, 30,1 a Firenze, 21,9 a Venezia, 18,4 a Torino e 16,8 a Roma).
Una proiezione di tali valori sul totale delle presenze turistiche nel 2016 (fonte Istat) negli esercizi ricettivi dei cinque Comuni porterebbe a stimare in 1,6 miliardi di euro la spesa annuale in shopping da parte dei turisti, di cui circa 610 milioni di euro a Milano, 422 milioni di euro a Roma, 281 milioni di euro a Firenze, 230 milioni di euro a Venezia e 67 milioni di euro a Torino. Indipendentemente dalla motivazione di viaggio, la ricerca realizzata da Risposte Turismo mostra che 3 turisti su dieci (29%) si informano sui luoghi dello shopping prima di scegliere una meta o destinazione della vacanza, e per 4 su dieci (39%) lo shopping conta molto o abbastanza nell’esperienza di viaggio.
Un fenomeno, quello dello shopping tourism, che inizia a mostrare evidenze significative anche in campo immobiliare: basti pensare ai 25 outlet village presenti lungo la penisola (per un totale di 700.000 mq di spazi commerciali), o alle vie dello shopping, come Monte Napoleone a Milano e Condotti a Roma, entrambe tra le prime 10 vie del mondo per canoni di locazione. Ed è proprio tra outlet village e grandi città che bisogna fare i primi distinguo, quando si parla di shopping destination in Italia. Se è vero, infatti, che l’indagine di Shopping Tourism Italian Monitor si è concentrata solo su 5 delle maggiori destinazioni turistiche italiane, bisogna ricordare che intorno a queste città orbitano anche alcuni dei più grandi outlet presenti nella penisola e che spesso sono proprio questi shopping village i veri poli attrattivi per i turisti che arrivano da Cina, Giappone, Russia, Stati Uniti e altri Paesi.
Sono gli stessi operatori del turismo che inseriscono, sempre più spesso, all’interno della propria offerta, l’esperienza di un’escursione finalizzata allo shopping “fuori porta”.
“Il nostro è un turista di livello medio, che non fa acquisti in piazza di Spagna, ma è attratto dalle pubblicità degli outlet e vuole essere portato fuori citta” conferma Mauro Braghese, direttore commerciale di City Sightseeing Roma, che ha tracciato l’identikit dello shopping tourist nel corso di una tavola rotonda di “Shopping Tourism. Il forum italiano”, che si è svolto lo scorso novembre nella sede Confcommercio della Capitale. “A Firenze i maggiori acquirenti di questi pacchetti sono cinesi e russi, ma nell’ultimo anno sono aumentate le richieste anche da parte di arabi e indiani”.
A Milano e Torino, invece, dove “il volume di traffico supera annualmente le 100.000 unità, negli ultimi due anni c’è stato un incremento costante superiore al 6%”, con una crescita esponenziale (+26%) del mercato cinese. A Roma, su un movimento complessivo di oltre 700.000 turisti trasportati sugli open bus, “circa 100.000 hanno utilizzato le nostre navette per l’outlet di Castel Romano”.
E gli outlet non restano a guardare. “Oggi siamo più grandi e più consapevoli delle opportunità -spiega Clara Petrone, regional marketing operation manager di McArthurGlen-. Serravalle è stato il primo dei nostri outlet, e dall’apertura ha continuato a crescere a ritmi significativi. Con questa esperienza abbiamo sviluppato expertise trasferita poi sui centri aperti successivamente”. Secondo Clara Petrone, l’outlet si deve oggi concentrare su una shopping experience a 360°, dove non basta la scontistica, che pur rimane la base fondamentale. “Accanto ai grandi marchi a prezzi scontati, abbiamo sempre offerto intrattenimento ed esperienze, che oggi sono in continuo cambiamento e ci portano a diventare sempre più sofisticati”.
Flussi di turisti sempre maggiori hanno spinto verso una targettizzazione dell’offerta, con un programma di marketing ad hoc per ogni tipologia di cliente e un calendario di attività dedicate a seconda della nazionalità di provenienza.
L’evoluzione riguarda anche i singoli negozi all’interno degli outlet village. “Oltre a garantire qualità e scontistica, condizione imprescindibile per McArthurGlen, il retailer deve essere in grado di rinnovarsi, digitalizzarsi, saper creare e parlare linguaggi nuovi per i nuovi consumatori. Non si va molto lontano senza questa dinamicità, senza un livello di investimento e senza la costante conoscenza dei nuovi trend”.
Se queste sono le logiche degli outlet, qual è il ruolo dei luoghi degli acquisti (dalle vie dello shopping ai department store e centri commerciali diffusi, fino ad aeroporti e stazioni ferroviarie, senza escludere mercati, mercatini e molto altro) nelle diverse città? L’Italia conta, a partire da Milano, su destinazioni attrattive a livello mondiale nelle quali lo shopping è già presente in modo più o meno forte nel rispettivo posizionamento. Secondo l’annuale classifica dei lettori di Travel+Leisure (gruppo Time) focalizzata sulle migliori città in cui fare shopping, Milano scende dal secondo all’ottavo posto su scala mondiale, superata anche da Firenze (settima) e con Roma, al quindicesimo posto, restano 3 le città italiane tra le prime venti.
Un quadro dell’offerta e dei luoghi principali dello shopping può emergere anche dai valori del mercato immobiliare. Il retail italiano si muove in maniera analoga ai competitor mondiali. La prima via dello shopping italiana si posiziona al 6° posto, subito dopo Londra, nella classifica mondiale delle high street, con via Monte Napoleone (canone massimo 10.300 €/mq/anno). Nell’arco di 3 anni, la via dello shopping milanese ha segnato una crescita del 34% nei canoni di locazione, effetto dato dall’esclusività del prodotto prime e da una ricerca consolidata di spazi da parte di brand internazionali, in competizione con quelli locali. Proprio quest’area vede nell’attività dell’Associazione Monte Napoleone -che ha cambiato nome ed è diventata Monte Napoleone District- il soggetto che riunisce oltre 150 marchi del lusso della via dello shopping milanese, oggi non più l’unica rappresentata dall’associazione, che annovera anche i negozi lungo via Verri, via Sant’Andrea, via Borgospesso e via S. Spirito.
Anche nella Capitale le boutique del centro si sono organizzate in associazioni ed è proprio qui che emerge la diversa visione sulla presenza dei centri commerciali in città e degli outlet a portata di navetta, poco fuori il raccordo anulare. Spiega Davide Sermoneta, presidente dell’associazione Piazza di Spagna-Trinità dei Monti:
“I centri commerciali hanno prodotto povertà. Cinecittà 2 ha ucciso via Tuscolana; Euroma 2 viale Europa; Porte di Roma ha cannibalizzato Roma Nord. Ai centri commerciali viene concesso di tutto, mentre ai negozi del centro mancano le opportunità, la prima delle quali è l’impossibilità di fare sconti. È come se fossimo un pugile che combatte sul ring con le mani legate. Non si può permettere a questi grandi centri di diventare i più grandi operatori del commercio di una città”.
Di vedute diametralmente opposte Roberto D’Amato, presidente dell’associazione Via Condotti, secondo il quale se il retail capitolino ha problemi, la colpa non va addossata a centri commerciali e outlet village. “Roma ha nel suo dna un livello di bellezza altissimo, ma oggi non basta più. Bisogna alzare la qualità degli operatori del commercio a 360° e su questo incide anche la lentezza della burocrazia. Il degrado, per esempio, è un problema congenito della città e per questo motivo è come se non fosse responsabilità di nessuno. Ma è un aspetto che incide anche sul commercio, perché a livello mediatico è l’unica cosa che passa”.
Quali sono le soluzioni possibili? “Bisogna capire l’avversario e come muoversi, studiando nuove strategie, a volte anche replicando quanto fanno gli altri -chiarisce D’Amato-: se l’outlet propone eventi, facciamoli anche in città; se la forza dell’outlet sono i prezzi, cerchiamo anche noi un margine per abbassarli. Va anche detto che i clienti che vanno agli outlet e quelli che frequentano le boutique del centro storico, sono di due tipologie diverse: non è automatico che il successo di un comparto significhi necessariamente il fallimento dell’altro”.
A disegnare la geografia delle shopping destination in Italia concorrono anche i luoghi d’acquisto agganciati ai terminal di transito di viaggiatori e passeggeri. Oggi aeroporti e grandi stazioni ferroviarie non sono solo centri di transito, ma veri e propri shopping center. A fine 2016 è stata inaugurata a Roma-Fiumicino una nuova area con un’esclusiva galleria dello shopping di 1.000 mq, un’area del Made in Italy, tra le più grandi fino ad ora create negli hub europei. La galleria si sviluppa su tre piani e offre 40 outlet di brand italiani e internazionali, oltre a una decina di ristoranti. In questo scalo gli acquisti dei beni di lusso nel 2016 sono aumentati del 10% rispetto all’anno precedente.
“Il passeggero non viene in aeroporto per i negozi, ma ovviamente per il volo -spiega Raffaele Pasquini, responsabile marketing & business development di Adr, la società che gestisce gli aeroporti di Roma-. Gli aeroporti sono ambienti che generano stress: la fretta, le code, i controlli, la sicurezza, i ritardi. Il nostro lavoro diventa quello di bilanciare questo stress e indurre il passeggero a comprare. Così il nostro l’impegno diventa fornire infrastrutture: negozi, servizi, bagni, ristoranti, wi-fi. Adr vuole entrare nello shopping e nel turismo, diventando un player con esperienze di marketing, profilazione, targettizzazione, promozione e informazione al passeggero. Ci sono nicchie di mercato (come i cinesi, i russi e i coreani) che hanno una capacità di spesa 10 volte maggiore rispetto alla media generale e il passeggero che acquista sta diventando una fonte di ricavi che cresce in maniera sostanziosa, soprattutto nell’extra-Schengen”.
Anche i gate di accesso alle città su binari diventano sempre più punti di riferimento per lo shopping. Da qualche anno Grandi Stazioni Retail sta lavorando alla valorizzazione commerciale di 14 stazioni ferroviarie italiane, le più grandi, puntando a trasformarle in centri ad uso e servizio di 750 milioni di persone che ogni anno transitano per le aree di competenza. Parte di essi sono anche pendolari e dunque non turisti, ma le potenzialità di business per le aziende che scelgono di essere presenti sono ampissime: è la shopping experience che viene offerta nel suo complesso il vero valore su cui si sta puntando. È la tesi di Alberto Baldan. amministratore delegato di Grandi Stazioni Retail: “La percezione degli snodi ferroviari è cambiata: oggi sono luoghi non più legati solo al viaggio, ma piazze integrate con la città, dove trovare servizi che allungano la permanenza dei passeggeri”. Quello su cui bisogna lavorare è la loro reputation. “La percezione delle stazioni cambia di città in città: a Milano la Stazione Centrale ha una reputation molto alta; a Roma, invece, Termini è ancora legata al degrado e ciò si ripercuote sul tema della permanenza”.
“Conforto” diventa, secondo Baldan, la parola chiave su cui lavorare per incentivare i passeggeri in transito, ma anche i cittadini che non devono prendere il treno, a soffermarsi di più e con maggiore frequenza in stazione.
L’Italia, grazie anche alla varietà e alla qualità di prodotti alimentari, è una delle mete principali al mondo per il turismo enogastronomico. Nel 2015, in Italia, i turisti stranieri che viaggiavano per enogastronomia hanno speso circa 192 milioni di euro per la loro vacanza. Secondo il Food Travel Monitor 2016, la soddisfazione dei turisti stranieri per la vacanza enogastronomica è seconda solo a quella legata al patrimonio artistico e alle bellezze naturali. E proprio per intercettare questo segmento, a novembre è nata la prima shopping destination dedicata al food, Fico Eataly World, nuova attrazione alle porte di Bologna. L’intento del fondatore, Oscar Farinetti, è quello di porre la destinazione come punta di diamante del turismo agroalimentare italiano e diventare un polo di attrazione facile da raggiungere a pochi chilometri dal capoluogo emiliano, con navette e ingresso gratuito e una posizione strategica al centro dell’Italia che lo rende facilmente raggiungibile dalle principali mete turistiche, come Firenze, Roma, Milano e altre città.
Che l’obiettivo sia acquistare abbigliamento, gustare cibo o apprezzare il design, fare una vacanza in Italia per comprare made in Italy sta diventando una leva importante per il turismo. Un fenomeno che, se ben governato, potrebbe risolvere anche il problema a cui stanno andando incontro tante città d’arte, l’overturism, ovvero il sovraffollamento di visitatori che porta a un sovraccarico per infrastrutture e servizi, incapaci di sostenere la domanda.
Oltre agli outlet village e alle famose vie dello shopping delle grandi città, ad attrarre i flussi turistici per le produzioni di qualità del territorio devono essere, dunque, anche i piccoli borghi storici sparsi in tutta la penisola, così da far diventare tutta l’Italia una grande unica shopping destination.
“Gli outlet intorno alle grandi città sono realtà che lavorano bene perché accompagnano con le navette i turisti agli hotel -ricorda Francesco Palumbo, direttore generale Turismo del Mibact- ma oggi anche i piccoli borghi devono diventare nuove vetrine della produzione di qualità”. Destinazioni, ha precisato Francesco Palumbo, dove “i turisti possono trovare gli artigiani del made in Italy in grado di offrire prodotto: non quello che si vende negli outlet oppure online, ma quello che rappresenta il lusso di qualità dedicata, legato a esperienze di visita, e che si può comprare solo in quel piccolo paesino dell’Umbria o della Puglia o di qualsiasi altra regione italiana”.
Un’impostazione che, secondo Palumbo, aiuterebbe a cavalcare il trend positivo atteso per i prossimi anni. “Siamo davanti a un comparto che, nel 2017, ha visto un incremento senza precedenti degli arrivi internazionali. Ma soprattutto, da qui al 2030, il turismo aumenterà a un ritmo di oltre il 4% a livello globale e sarà uno dei pochi settori dell’economia italiana che ha prospettive di crescita”.
I negozianti di tutta Italia sono avvisati.