Le nuove abitudini alimentari degli italiani, mutuate sia delle attuali tendenze salutistiche sia dalle minori disponibilità economiche di una parte dei consumatori. E le risposte sviluppate dalle aziende del food, oggi più vicine ai clienti attraverso un’offerta di prodotti specifici, con focus sul concetto del benessere. Ma anche il ruolo sempre più importante assunto dall’export del settore. Questi i temi emersi della nostra chiacchierata con il presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia.
Parliamo innanzitutto dei trend del salutismo. Sarà di supporto all’industria alimentare italiana o ne costituirà un elemento di criticità?
In primo luogo bisogna separare il trend salutistico dal trend di moda. Una cosa è il salutismo, inteso come consapevolezza del consumatore dell’importanza di una dieta equilibrata per il mantenimento della propria salute e del proprio benessere. In questo senso è un elemento positivo per un’industria alimentare da sempre attenta a questi aspetti, e che negli ultimi anni ha provveduto a riformulare migliaia di prodotti riducendo per esempio il potere calorico o la porzione dei cibi. Altra cosa è, invece, il proliferare di consumatori che portano alle estreme conseguenze il concetto di wellbeing nella propria dieta, fino ad arrivare ad avere dei problemi legati all’alimentazione.
Può farci qualche esempio in merito?
Come rileva il recente studio del Censis sui cambiamenti nelle abitudini alimentari degli italiani, oggi, nel nostro paese, le persone affette da ortoressia (disturbo psicologico legato all’ossessione maniacale per i cibi sani) sono ormai quasi 450.000, ovvero 3 volte i celiaci. Perché siamo arrivati a questi numeri? Sicuramente perché c’è una preoccupante tendenza alla disinformazione da parte del consumatore, che si lascia influenzare nelle scelte alimentari da mode passeggere, che magari criminalizzano in maniera ingiustificata singoli alimenti andando a creare degli squilibri nella dieta.
Oltre al fenomeno moda, c’è però anche un fattore economico ...
Non possiamo nasconderci che le abitudini alimentari sono mutate anche per questa ragione. Sempre il Censis evidenzia come alla minor capacità d’acquisto dei nostri connazionali abbia corrisposto una riduzione quantitativa degli acquisti stessi, differenziata a seconda del reddito delle famiglie. In altre parole, la spesa alimentare è crollata più che altro per chi ha i redditi più bassi. Non solo: per costoro è crollato anche l’acquisto selettivo di alimenti a maggior valore nutrizionale. Causando lo sviluppo di una serie di patologie, a partire dall’obesità.
Come si fa a contrastare l’insorgere di queste malattie legate al cibo (dall’ortoressia all’obesità)?
Ritengo fondamentale che gli organi di informazione (soprattutto la televisione) facciano conoscere il valore del nostro regime alimentare tradizionale, dando la parola a persone qualificate, per esempio a nutrizionisti, e non ad esperti improvvisati. Insomma i media si dovrebbero adoperare per divulgare in maniera seria l’importanza della dieta mediterranea, che è equibrata e sana, e che ha fatto di noi una delle popolazioni più longeve al mondo.
L’export di Made in Italy continua a dare soddisfazioni all’industria alimentare?
Decisamente sì. Parliamoci chiaro: il mercato interno ha perso quasi 15 punti in valuta costante da inizio crisi e nel 2016 ha solo interrotto la discesa, mostrando qualche “zero virgola” di recupero. Per cui il settore ha capito da un pezzo che lo spazio espansivo si lega, in gran parte, agli sbocchi esteri: sono infatti i mercati stranieri che hanno consentito di ammortizzare la discesa della produzione alimentare nella fase recessiva.
Qualche numero?
Negli ultimi otto anni, la produzione alimentare ha accusato una perdita di soli 3 punti, contro i quasi 25 del totale industria del paese. L’export dell’industria alimentare 2015 è cresciuto di quasi il 60%: più di quattro volte a confronto col +14% messo a segno dal totale industria nazionale. E nei primi otto mesi del 2016, l’export di settore è aumentato del 3,5%, contro il -0,1% del totale industria.
I principali paesi target per l’export?
Sicuramente gli Usa, che restano centrali anche il prossimo anno, dato che si tratta di un enorme mercato potenziale. Che si deve intercettare, innanzitutto, mirando a sostituire l’Italian sounding con il nostro prodotto. Perché adesso siamo abbastanza forti per andare a scaffale con l’autentico prodotto italiano, spingendo sulle leve della promozione e della comunicazione, che saranno alla base del nuovo piano per l’alimentare Made in Italy. Si darà poi più spazio all’Asia, cioè Cina, incrementando le attività di eCommerce. Infine sono decisamente interessanti anche la Tailandia e l’Indonesia.