Le grandi "multiples" (catene gd) inglesi sono da molti anni tra l'incudine e il martello, cioè in mezzo a due concorrenti, il discount e l'eCommerce. La notizia che Amazon sta tallonando al sesto posto le prime cinque catene inglesi non sembra del tutto estranea al contesto di mercato nel quale sta maturando la megafusione tra una delle due regine del retail britannico, Sainsbury's (l'altra è la connazionale e concorrente Tesco) e Asda, che è un'altra importante e storica protagonista della grande distribuzione dell'Isola e fra le prime cinque catene di grande distribuzione inglese, acquisita quasi vent'anni fa da Walmart e rimasta la più importante operazione condotta in Europa dal colosso di Bentonville-Arkansas.
Stando a quanto riporta The Grocer non saranno nozze paritarie: nella fusione (perché si parla di "merge", non solo di "acquisition") tra Sainsbury's e Asda, la prima avrà la maggioranza e dovrà pagare in contanti quasi 3 miliardi di sterline (per l'esattezza 2.975 milioni) e Walmart conserverà, comunque, il 42% della nuova entità uscita dal "merge", e 2 poltrone nel nuovo board; i cui membri dovrebbero essere anche gli ammiragli di Sainsbury's: il presidente David Tyler, il Ceo Mike Coupe, e il Cfo Kevin O’Byrne, che rimarranno a Holborn, il quartier generale di Sainsubry's. Walmart non deterrà più del 30% dei diritti di voto.
Le vendite di Asda nell'anno finanziario chiuso il 31 dicembre 2017 sono salite a 22,2 miliardi di sterline, +2,6% in termini like-for-like cioè a parità di perimetro. Certo, gli utili sono calati sotto la pressione degli investimenti per ridurre i prezzi, e della più ampia innovazione dei servizi al cliente che hanno ridotto i profitti (una riduzione comunque prevista e programmata) da 845 milioni di sterline a 720 milioni.
Le due catene cuberebbero insieme una quota di mercato combinata del 32% (Tesco è a quota 28), quindi la reason why della fusione va cercata nell'incremento del potere d'acquisto che ne consegue. Proprio su questo versante, Sainsbury’s ha identificato sinergie potenziali lato "buying" corrispondenti a un beneficio sull'Ebitda pari a 500 milioni di sterline, da realizzare con fornitori multinazionali che rappresentano l'85% dei ricavi di Sainsbury's. Queste sinergie dovrebbero produrre a loro volta risparmi di 350 milioni di sterline ai quali vanno sommati i 75 milioni con l'integrazione degli Argos negli Asda. Questi risparmi si aggiungono ai ricavi stimabili dalla riduzione generalizzata dei prezzi (10%).
La seconda ragione -come ha spiegato alla stampa specializzata inglese Mike Coupe- sta nella perfetta complementarietà delle due reti: la fusione permetterebbe a Sainsbury's di rafforzare la propria presenza nel Nord dell'Inghilterra, in Scozia e in Galles, e lo stesso varrebbe per Asda che potrebbe essere meglio rappresentata nel Sud dell'Inghilterra. Ma non tutti gli osservatori esterni sono di questa opinione e molti non condividono l'ottimismo di Coupe e dei suoi omologhi in Walmart, Judith McKenna, presidente e Ceo di Walmart International, e Roger Burnley, Ceo di Asda, entrambi positivi nell'evidenziare l'omogeneità culturale dei due gruppi.
Le valutazioni di alcuni analisti sembrano divergere dalle dichiarazioni ufficiali. A parte la profonda diversità storica e commerciale di Asda e Sainsbury's, fra i flip-sides della fusione non vanno taciute le conseguenze della sovrapposizione (overlapping) della rete: Bruno Monteye della società di ricerche e analisi di mercato Bernstein evidenzia che il 57% dei punti di vendita Asda si trova a una distanza media pari a 12,5 minuti di auto da grandi supermercati Sainsbury’s; questo "overlapping" può portare a una chiusura del 15% della rete, che potrebbe ridursi all'8% se i vertici riuscissero a convincere l'omologo inglese della nostra Agcm a includere nel perimetro di osservazione anche i discount. Stiamo parlando comunque di 100 negozi in esubero.
Mike Coupe ha precisato che le linee di abbigliamento delle due catene, Tu di Sainsbury’s e George di Asda (quest'ultima una delle più famose private label della grande distribuzione europea) resteranno separate. Entrambe le etichette vendono molto bene nel Regno Unito, con quote di mercato, nel settore abbigliamento, del 3,5% per George e del 2,1% per Tu. Quest’ultima, lanciata nel 2004 e dal 2013 protagonista di una fase di rilancio, ha permesso all’insegna di guadagnare quote di mercato in settori diversi dal food, sottraendo clienti a fashion retailer come Next e Marks&Spencer.