Secondo la “definizione classica di Laplace”, la probabilità di un evento è il rapporto tra il numero dei casi favorevoli all'evento e il numero dei casi possibili, purché questi ultimi siano tutti equiprobabili.
La società civile, la comunità scientifica, le aziende ed in pratica ogni aspetto del mondo conosciuto ha sposato il concetto di probabilità e lo ha progressivamente posto a fondamento di qualsiasi decisione, progetto, piano o costrutto. La stipulazione di un mutuo, la sottoscrizione di una assicurazione sulla vita, il risparmio investito, l’impostazione economica delle famiglie, la prenotazione delle vacanze, la scelta di un determinato corso di studi. A ben vedere, dietro ogni piccola o grande decisione è presente, consapevolmente o inconsapevolmente, un calcolo probabilistico.
E così accade nelle aziende. Per la definizione della struttura organizzativa, nella scelta del “Baricentro Strategico”, per i lanci di prodotto, nell’impostazione dei piani di marketing, per l’acquisto delle materie, per i contest su cliente, in ogni singola ricerca di mercato, nella definizione dei media plan e così via in un continuum senza soluzione.
Tutto il sistema poggia su concetti probabilistici, valida la conoscenza come informazione su serie storiche, e legittima i metodi come replicabilità. Non si sta certamente qui affermando che l’intuito, il “Gut Feeling”, le percezioni, i sistemi valoriali, l’informazione, lo scambio di idee, la conoscenza e tutte le altre variabili che intervengono in decisioni di questo tipo siano azzerate o che non giochino almeno un ruolo. Certamente però le serie storiche, le probabilità, il buon senso basato sull’esperienza, le case history ed il benchmarking giocano il ruolo fondamentale.
Tale visione ha permeato e consentito anche il passaggio dal marketing empirico al marketing manageriale.
Il primo, prettamente basato sull’intuito, sul singolo, sull’opportunità, sulla volatilità e sull’unicità, ha ceduto il passo al secondo, impostato sull’esperienza, sulla strutturazione, sulla replicabilità, sulle informazioni e sull’adozione di un metodo scientifico di matrice statistica.
E se le teorie probabilistiche non fossero una scoperta ma un’invenzione?
Se non rappresentassero cioè un costrutto ineludibile, un archetipo predestinato, una verità intrinseca che attendeva solo di essere scoperta, ma un’idea brillante che ha raccolto molto seguito, solo “una delle possibili strade”? Il mondo potrebbe essersi ingenuamente accomodato su una teoria, accecato dalla confortevole idea del controllo. E nello sposare questo approccio potremmo aver perso la capacità di reagire con prontezza ed originalità all’imprevisto.
Potrebbe avere ragione Taleb quando afferma che il “Cigno nero”, l’evento imprevedibile, è sempre in agguato ed addirittura, in una paradossale epifania, ha esso stesso maggiore probabilità di verificarsi rispetto alle serie storiche attese.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito a un cambiamento radicale dell’ambiente. La velocità e la totalità di impatto con cui è avvenuto rappresentano una discontinuità estrema. La rete, i sistemi di comunicazione, la globalizzazione, la finanziarizzazione, hanno drasticamente modificato qualsiasi serie storica immaginabile. Le start up stanno sovrascrivendo ogni esperienza conosciuta di azienda manageriale riportandoci in modo lampante ad una variante di marketing empirico. Esiste forse differenza tra un sedicenne sconosciuto che nella sua stanzetta di adolescente inventa Facebook e l’archetipo dell’imprenditore illuminato che con una intuizione creava un mercato?
Il Marketing Management sembra si stia solo adattando al nuovo scenario, rifugiandosi nel marketing digitale, anziché ripensare se stesso nella totalità, per trovare nuove regole di gioco in grado di trasformare l’obsoleto “Time to Market” nell’ imperativo “Now to Market”.
Sembra il momento per un salto mentale che legittimi, non certo l’imprudenza o la leggerezza, ma l’intuizione, il coraggio e la velocità di azione. Organigrammi, mappe aziendali, espansioni territoriali, corsi di formazione dovranno immaginare un mondo in cui saranno i singoli manager ed il loro istinto a fare la differenza, operando proprio come se fossero degli imprenditori. Un mondo in cui lo sguardo al passato che restituisce report, controlli e statistiche, dovrà volgere al futuro per raccogliere la sfida dell’azione, dell’innovazione e del “try and error”.
Esistono mercati ed aziende che sono “Pianure Verdi” in cui ci si potrà, ancora per un po’, attardare su “ieri” e farsi avvolgere dal sereno conforto delle serie storiche. Sono costituiti da grande routine di processo, basso impatto tecnologico, economie sviluppate, tempi codificati, prodotti e bisogni banalizzati. Ma, accanto a questi, esistono mercati ed aziende che sono “Mari in Tempesta” in cui è imperativo trasformare il domani in oggi, in cui la serie storica deve necessariamente cedere il passo all’istinto ed in cui il Management Empirico si palesa come l’unico approccio possibile.