I trend dell’innovazione tecnologica nella sanità pubblica e gli aspetti su cui devono lavorare gli attori della filiera della salute, dall’industria farmaceutica alle farmacie, per favorire una migliore distribuzione e fruizione delle risorse del sistema sanitario nazionale, e fornire cure e servizi a valore aggiunto. Ne abbiamo parlato con Alberto De Negri, partner, Kpmg Advisory, head of healthcare.
Quali saranno i punti chiave dell’evoluzione tecnologica nel settore sanitario, nei prossimi 5 anni?
Relativamente alla sanità pubblica, vedo quattro trend principali. Una prima rivoluzione riguarda l’arrivo di terapie che prevedono l’espianto di cellule o geni del paziente per essere ritrattati e rimpiantati, così da curare malattie che prima non si riuscivano a trattare. Queste terapie hanno un impatto molto significativo in termini sia di costi sia di processi, e richiedono una buona coordinazione fra industrie pharma e aziende ospedaliere. Un secondo ambito in costante sviluppo è quello dei dispositivi medici impiantabili, sempre più numerosi.
Possiamo inquadrare meglio lo scenario di mercato?
La frequenza di rinnovo e di immissione sul mercato di queste soluzioni è tale da farne cambiare i listini ogni 12 mesi. Proprio a causa della grande quantità di nuovi prodotti proposti, diventa difficile definire il value for money, cioè capirne l’effettivo rapporto fra costi e benefici. Così come si rinnovano in fretta le tecnologie diagnostiche (terza tendenza in atto), a fronte di un parco installato in Italia ultra obsoleto e con una numerosità superiore a quella necessaria. Qui si pone un doppio problema: da un lato, come avere i capitali, o le modalità di finanziamento, adeguati per garantire macchine moderne anche negli ospedali pubblici. Dall’altro, diviene necessario adeguare la distribuzione sanitaria, per avere solo le macchine moderne che servono, e non tenerne in eccesso. Un ultimo tema riguarda la trasformazione dei sistemi informativi attualmente in atto.
Di che si tratta?
Si sta diffondendo la tendenza a investire in piattaforme integrate che abilitano lo scambio di dati fra operatori di tutta la filiera della salute, semplicemente condividendo il linguaggio di interscambio e non la propria architettura e lo sviluppatore del software. Alcuni hanno investito molto in questo genere di progetti, a partire dalla Lombardia. I progetti, purtroppo, tendono a essere diffusi a macchia di leopardo lungo la penisola; non si è ancora riusciti a rendere sistematico il beneficio organizzativo derivante da questo processo, che sarebbe invece vitale per la sanità pubblica, viste le poche disponibilità economiche. Il problema vero è che il finanziamento complessivo al servizio sanitario nazionale non cresce, in modo sostanziale, da anni: i 113 miliardi di euro messi a disposizione dallo Stato sono destinati interamente all’erogazione delle cure quotidiane.
La sanità pubblica non ha risorse per accogliere le nuove proposte tech?
È proprio questo il punto: le innovazioni entrano in un mercato che non ha disponibilità aggiuntive per sostenerne i costi, con l’eccezione di limitati fondi ad hoc per i farmaci innovativi. Ci si sta interrogando su come sfruttare le innovazioni, cercando soluzioni che consentano al sistema sanitario di riorganizzarsi per introdurle. Invece la sanità pubblica accoglie l’innovazione, ma la inserisce in una macchina produttiva che tende a rimanere sempre uguale a sé stessa, senza rivedere con attenzione struttura e processi di cura.
Cosa suggerite per uscire da questa situazione?
La risposta non è facile. Mentre è evidente la molta attenzione da parte dell’industria del pharma ai processi tecnologici per generare innovazione, se ne percepisce molta meno da parte del mondo sanitario pubblico, che non si preoccupa di rivedere né la propria organizzazione né i metodi di pagamento. Questi ultimi dovrebbero basarsi molto di più sulla misura del beneficio che il servizio sanitario (e, di fatto, gli stessi pazienti) riceve, mentre, al contrario, oggi non si riescono a rilevare in maniera univoca i risultati rispetto all’immissione nel sistema sanitario di un nuovo farmaco o dispositivo. Vale non solo per i medicinali e le soluzioni tech più sofisticate, ma anche per innovazioni più modeste in termini di costi.
A cosa fa riferimento?
Per esempio, a servizi innovativi che potrebbe erogare il canale farmacia, realizzando la cosiddetta farmacia dei servizi. Ad oggi le farmacie hanno sviluppato principalmente proposte tecnologiche all’interno della struttura di vendita. Si è lavorato molto poco, invece, sul collegamento fra la farmacia e la casa del cliente-paziente, servizi che potrebbero alleggerire il carico assistenziale e quindi i costi attualmente sostenuti dal servizio sanitario. Opportunità come la telemedicina o il consulto online, che portano i servizi a casa dei pazienti, sono sfruttate solo al 5% del proprio potenziale. Eppure, le soluzioni tecnologiche non mancano.
E da quali operatori sono implementate con più intensità?
Le strutture private stanno certo provando a fare qualcosa di più, ma l’ambito dell’assistenza a domicilio è un terreno poco noto per tutti: ci vogliono imprenditori che abbiano il coraggio di aprire nuovi business. A ciò si aggiunga che i modelli di pagamento non agevolano questo genere di servizi, perché, allo stato attuale, gravano ulteriormente sull’out of pocket delle famiglie.