I consumi di riso in Italia e nell’Unione Europea sono in aumento (+34% dal 2012 al 2022 secondo i dati Ente Risi) e vengono soddisfatti ancora dal prodotto nazionale, coltivato nelle nostre provincie risicole, nonostante la crescita negli ultimi anni di riso Basmati. Nello stesso periodo, secondo dati Dg Agri, il consumo nell'Unione Europea registra un +20%: le industrie italiane hanno mantenuto i volumi verso l’Europa, ma non hanno potuto avvantaggiarsi dell’aumento della domanda comunitaria.
Oggi l’industria nazionale colloca il 38% della sua produzione nel nostro Paese, il 47% in Europa e il 15% nel resto del mondo. Per soddisfare il mercato unico europeo le industrie italiane hanno bisogno che se ne coltivi di più per evitare di perdere egemonia cedendo quote di mercato a vantaggio del riso d’importazione che arriva nei porti del nord Europa. Senza contare che quest’anno la siccità ha ridotto la produzione interna, rendendo improduttivi 26.000 ettari concentrati in Lomellina e nel Basso novarese, e causando una calo nella semina (9.000 ettari in meno).
Preferenza per altre colture più remunerative
Questo scenario giustifica il timore, emerso durante il convegno tenutosi al Centro Ricerche Riso dell’Ente Nazionale Risi (presenti in sala oltre 250 risicoltori), che molti agricoltori, preoccupati dalle prospettive future, possano abbandonare il riso per passare ad altre coltivazioni ritenute più interessanti e remunerative, come mais, soia o girasoli. Per rispondere alla crescente domanda di riso, l’appello lanciato da Airi, l’associazione delle industrie risiere e dal suo presidente Mario Francese, è quello di passare a 250.000 ettari di aree coltivate, raggiunti solo nel 2011.
"Se i dati indicano uno spazio di mercato per il riso italiano in progressiva crescita - commenta Mario Francese, presidente Airi- questo spazio va conquistato garantendo un’adeguata produzione di materia prima e prezzi al consumo che evitino rischi di contrazione. La tendenza positiva dei consumi rischia però di frenare, come in parte sta avvenendo quest’anno, a causa di prezzi al consumo elevati. Dobbiamo stare attenti a non disabituare il consumatore al riso nazionale e a non metterlo nelle condizioni di scegliere prodotti alternativi”.
La crescita dell’inflazione ha coinvolto soprattutto i prodotti energetici e alimentari; i prezzi al consumo del riso, secondo i dati Istat, sono saliti del 35,3% da novembre 2021 a novembre 2022: tra tutti i prodotti alimentari, il riso è quello che ha subito il maggior aumento di costo nei punti di vendita. La ricerca, sia pubblica (Enr) sia privata (Basf), ha confermato l’interesse a investire nel settore per rispondere alla forte richiesta, soprattutto europea, di sostenibilità.
Per salvaguardare questo prodotto, che sarà sempre più prezioso in futuro, sono necessari maggior coordinamento degli enti preposti alla gestione della risorsa idrica e investimenti in infrastrutture nel medio periodo. La risicoltura può fare la sua parte con un maggior ricorso alla sommersione delle risaie anche nel periodo invernale in modo da contribuire al caricamento delle falde freatiche, evitando di perdere acqua che altrimenti defluirebbe velocemente al mare.