Rischio “Covidwashing”: cambiamenti climatici tra pandemia e coscienza green

Le indagini Ipsos e BEI restituiscono una fotografia di cittadinanza sempre più consapevole in materia ambientale, che vuole essere guidata nella transizione da istituzioni e aziende

Il Covid-19 ha fatto crollare quella che era l’impalcatura di normalità che caratterizzava le moderne catene e infrastrutture produttive del mondo sviluppato, imponendo un’effettiva sospensione delle attività commerciali e civiche di intere nazioni. Tale shock, senza precedenti per le generazioni oggi in vita, rende non più secondaria la riflessione e un discorso globale su come gli attuali sistemi economici, sociali e politici devono evolversi.

In questo contesto, già ben prima dell’attuale pandemia, un ruolo di prim’ordine è stato ricoperto dai cambiamenti climatici. Quest’ambito è stato, però, fino ad oggi oggetto di molte dichiarazioni d’intenti politici e programmatici (in alcuni casi ritrattati, come la scelta dell’amministrazione Trump di uscire dagli accordi di Parigi) e pochi fatti. Ad inizio 2021, tuttavia, parrebbero, per lo meno sulla carta, esserci condizioni migliori per essere più concreti: l’Unione europea con il suo Green Deal vuole guidare con ambizione la svolta verde del vecchio continente, mentre dall’altra parte dell’oceano la nuova amministrazione Biden-Harris ha fatto della sostenibilità e delle politiche green uno dei suoi fiori all’occhiello, ed anche ad oriente il mondo sembra, a tratti, meno sordo di prima ai richiami dell’ambientalismo.

Lasciando da parte proclami istituzionali e politici, è interessante andare a sondare quella che è la “maturità” e preparazione di business e cittadini relativamente a questi temi, tenendo presente che disagi e criticità legati alla pandemia sono ancora una costante nella vita della maggior parte dei cittadini del mondo.

Come emerge dal dossier Gli effetti del lockdown sulle emissioni di Co2 in Italia a cura di Italy for Climate dell’aprile 2020, il fermo forzato della quasi totalità delle attività in Italia ha fatto registrare una riduzione delle emissioni di Co2 a marzo 2020, rispetto al medesimo periodo del 2019, del 17%, pari a circa 5,7 milioni di tonnellate. A fronte di queste evidenze, i cittadini si ritrovano propensi e favorevoli a cambiare le proprie abitudini a favore di minori impatti negativi sull’ambiente, chiedendo pure alle aziende di ridirezionare le proprie attività in tal senso. Si tratta di non  sprecare questo particolare momento storico, già di per sé fortemente tragico, per fare dei passi in avanti in quella che è una partita di più lungo termine. I cambiamenti climatici sono ormai una preoccupazione globale, presente anche nel pensiero degli italiani. Il 72% degli abitanti del Paese, sempre da ricerche Ipsos condotte nel primo semestre del 2020, ritiene infatti che, nel lungo periodo, il cambiamento climatico sarà una crisi ben più grave di quella generata dal Covid-19 ed il 63% è a favore di una ripresa economica “green”.

Questo dato però si scontra con quello più recente raccolto dalla BEI (Banca Europea degli Investimenti) nella seconda pubblicazione della sua “Indagine della BEI sul Clima del 2020-2021” che a distanza di maggior tempo dall’inizio della pandemia e con le nuove incognite dovute alle varianti del virus e alle scarsità dei vaccini, sembra registrare un’inversione di tendenza con il 66% degli italiani più preoccupato di contrarre il Covid-19, piuttosto che subire gli impatti a lungo termine dei cambiamenti climatici.

Tale evidenza, però, giustificabile anche con la drammaticità del momento, non accantona però la questione ambiente, specie tra i più giovani. L'indagine mostra, infatti, che nell'UE il 72% dei cittadini ritiene che il proprio comportamento possa fare la differenza. Nello specifico si tratta del 77% dei cittadini compresi nella fascia di età 15-29 anni, rispetto al 64% di quelli di età pari, o superiore, a 65 anni. Negli Stati Uniti, le percentuali sono rispettivamente del 75% (per la fascia di età 15-29 anni) e del 56% (65 anni o più), con una media simile del 72%; ed un sorprendente 84% per la Cina.

© BEI

Nel complesso, il 34% degli italiani afferma di mettere addirittura in atto dei correttivi radicali al proprio stile di vita per contrastare i cambiamenti climatici. Si tratta di una percentuale superiore di quindici punti alla media europea (19%). Tali comportamenti particolarmente virtuosi tra i connazionali sono riservati in particolare ai prodotti alimentari e ai rifiuti.

La sostenibilità alimentare, infatti, è al centro dell’impegno dei cittadini italiani, con il 93% che cerca attivamente di comprare più prodotti locali e stagionali e il 48% che lo fa già sistematicamente. Gli italiani si dicono anche pronti a modificare la loro alimentazione: il 73% ha ridotto il consumo di carne rossa. Vi è anche in questo caso una discrepanza tra le fasce di età più giovani e quelle più anziane: rispetto ai più giovani, gli italiani più anziani si impegnano di più ad acquistare unicamente prodotti alimentari locali.

Sul lato dei rifiuti, il 97% degli italiani non usa più prodotti in plastica, o almeno ne ha ridotto il consumo. Più in particolare, il 94% degli italiani dice di avere l’intenzione di smettere di comprare le bottiglie di plastica, il 96% ha intenzione di comprare meno prodotti imballati con la plastica. Le donne, rispetto agli uomini, sembrano essere più propense a limitare il consumo della plastica: il 65% delle italiane dice di aver smesso di utilizzare i sacchetti di plastica per la spesa rispetto al 55% degli uomini.

In termini più generali, l’indagine BEI permettere di riassumere gli atteggiamenti e le abitudini a cui le persone sono disposte a rinunciare per affrontare la crisi climatica. Alla proposta, quindi, di scegliere di rinunciare ai viaggi aerei, oppure alla carne, a nuovi capi di abbigliamento, ai servizi di video streaming o all’uso dell’auto propria per combattere i cambiamenti climatici, il 38% degli italiani ritiene che rinunciare ai voli aerei sarebbe la scelta che peserebbe meno. La scelta più difficile per il 46% degli italiani, nella lotta ai cambiamenti climatici, è quella di rinunciare all’uso dell’auto propria.

Il settore dei viaggi esce da questa fotografia proposta dalla BEI come colpito in maniera duplice, sia dell’andamento della pandemia che delle preoccupazioni legate al clima. Da qui l’esigenze, lato business (e non solo limitatamente al comparto viaggi-turismo), di ridefinire prodotti e servizi con nuovi paradigmi. Vi è una crescente domanda da parte dei consumatori di “guidance”, di orientamento, perché le aziende possano essere le concrete attuatrici e portatrici di cambiamenti positivi. Soprattutto, però, emerge il desiderio di potersi fidare dell’operato delle aziende in questo frangente, di fronte a consumatori che sono sempre meno ingenui ed impreparati a capire quelle che sono le dinamiche e le decisioni in merito delle aziende, smascherando comportamenti truffaldini in ambito di RSI e sostenibilità, come nel caso del Greenwashing. A questo proposito, si stanno nuovamente replicando delle dinamiche tossiche che prendono a prestito il contesto pandemico, e che di fatto ledono pure per la reputation aziendale. Di fatti, come già per il Greenwashing, che tanti danni può fare sia all’azienda che lo pratica, sia alla tensione verso la sostenibilità ambientale, oggi è sempre più presente il rischio di “Covidwashing”, ovvero la tendenza a cerare di collegare ogni azione, di qualunque natura e ragione, ad un aiuto all’emergenza. Tale rischio si sta registrando come trasversale: dal settore bancario e finanziario, ma anche quello della distribuzione e dei prodotti food; e rischia di coprire molto di non condivisibile.

Ecco, che, quindi, tutto ciò rinforza la tesi per cui un vero e genuino ambientalismo lato imprese non fa altro che alimentare un sano vantaggio competitivo, andando a rispondere ad un bisogno acclamato da parte dei consumatori.

Infatti, se da un punto di vista teorico si vorrebbe adottare uno stile di vita sostenibile, il sentiment di più di metà della popolazione globale fa emergere che avere uno stile di vita sostenibile non sia una scelta facile: sia a livello generale, sia nelle piccole scelte che si devono attuare nella quotidianità. Ecco perché il consumatore-cittadino non vuole sentirsi solo nel combattere questa battaglia, e c’è un enorme spazio per aiutarlo in un lavoro di squadra tra aziende e istituzioni.

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