Il convegno Confimprese su Retail&Finanza la trasformazione digitale e gli impatti sugli investimenti nel retail ha offerto parecchi spunti su diversi fronti tematici che cercheremo di sintetizzare in qualche modo, visto l'abbondante numero di interlocutori che si sono avvicendati sul palco (oltre una ventina). Innanzitutto, partirei subito dal metaverso, una realtà virtuale che già alimenta un'economia ragguardevole nel mondo (324 miliardi di dollari oggi, 800 miliardi stimati nel 2024, parliamo di consumi nelle community del metaverso; fonte: Bloomberg), il cui valore stimato supera l'intero mercato del lusso e trova il suo target privilegiato in una fascia di giovanissimi (15-27enni, generazione Z e Alfa), che stanno mediamente 7 ore al giorno, non sui libri, ma su piattaforme digitali di vario genere. Di seguito presentiamo alcune slide della relazione di Federico Bonelli, equity partner di EY: qui sotto una rappresentazione -da sinistra a destra- dei 3 principali mondi del Metaverso: il primo è l'esperienza immersiva in luoghi e ambienti virtuali anche tramite strumenti 3D, con avatar per interagire; gli Nft sono essenzialmente oggetti, terreni, centri commerciali, ecc. Il secondo livello è rappresentato dai collezionabili (collectibles) che esistono solo sulla blockchain e si possono acquisire con criptovalute; o copie (in numero limitato) di un item fisico o virtuale. E infine il mondo del mondo del gaming.
I market driver di queste nuove dimensione del web 3.0 sono senza dubbio gli Nft -nonostante la volatilità delle criptovalute- e i fenomeni trainanti sono un incremento nella domanda di digital art, e una crescita degli investimenti nella sicurezza informatica degli asset (blockchain) e nella proprietà intellettuale.
Non c'è ancora in Italia una divulgazione adeguata su questa novità e quindi i piani decisionali sottostanti agli investimenti, soprattutto quelli strategici si guardano con circospezione, soprattutto se non hanno l'età dei figli o più spesso dei nipoti: Giovanni Tamburi (Presidente Tamburi Investment Partner) ha detto "Prima di rispondere alla domanda se investirò o no in queste nuove realtà, vorrei capire cosa sono queste nuove realtà". Anche chi sta studiando il fenomeno perché più direttamente coinvolto in quanto retailer, si mostra perplesso di fronte al Metaverso: "Noi stiamo esaminando con attenzione il problema -ha detto Stefano Beraldo, amministratore delegato di Gruppo Ovs- ma in questo momento ci chiediamo se per un retailer come Ovs sia opportuno e soprattutto utile entrare in questa nuova dimensione del web 3.0". Il principale dubbio dei retailer low cost di catena come Ovs è valutare due cose: come superare il problema dell'intellectual property (al di là degli Nft-Non fungible token) e come valorizzare nelle community un marchio non esclusivo, cioè non appartenente alla fascia del premium/lusso.
Nessuna delle imprese rappresentate sul palco della grande sala di Palazzo Mezzanotte in Piazza Affari, ha espresso una strategia sul metaverso. Nemmeno le più grandi o innovative catene di ristorazione commerciale (I Love Poke, Hamerica's, Winelivery, Oliveyou, che per forza di cose sono fortemente legate al web e al digital per via del delivery). La ristorazione avrebbe, invece, molto da dire sul metaverso perché nella cucina in generale ci sono molte più opportunità di differenziazione e i locali, luoghi fisici per eccellenza, offrono uno degli esempi migliori di esperienza di consumo e acquisto.
I veri problemi
Ma oggi i problemi del mercato fisico, reale, del retail&ristorazione sono ben altri: l'inflazione che rialza la testa, il caro-bollette, le speculazioni sulle materie prime alimentari, la disoccupazione/sottoccupazione, la difficoltà di reperire personale soprattutto in certe stagioni, i bassi stipendi anche se non soprattutto nei settori retail e ristorazione: persino Giancarlo Nicosanti Monterastelli, ad di Unieuro SpA, intervistato da Barbara Lunghi, Head of Primary Markets Borsa Italiana, ha detto che lo stipendio medio mensile di un commesso Unieuro è di 1.211 euro; e financo Sebastiano Barisoni, vicedirettore esecutivo di Radio 24, moderatore del convegno, ha ricordato che negli Usa il divario tra la media delle più alte retribuzioni del mercato e gli stipendi dei lavoratori è di 1 a 1.000/1.200! (Questo rapporto all'altezza del 2000-2001 era di 1 a 600).
Il fatto per esempio che per la stagione estiva 2022 manchino all'appello figure professionali (cuochi, camerieri, commessi) indispensabili per mandare avanti qualunque attività strutturata di ristorazione aperta al pubblico, non è un bel segnale che il settore trasmette al mondo della finanza d'impresa: quella seria, cui non piace essere considerata un "bancomat per le aziende", guarda certi fondamentali, come ha ricordato Andrea Bertoncello, managing director DeA Capital Taste of Italy: "Noi non investiamo sui format, sui concept virtuali, ma su imprese reali, omnichannel, che abbiano aperto almeno 10-15 punti di vendita, uno spartiacque, questo, che separa in genere la gestione a vista da quella più evoluta sul piano manageriale. E poi la ristorazione è uno dei settori più difficili perché richiede capacità industriali unite a quelle della distribuzione".
Ricette (per uscire dalla crisi)
Per uscire dalle crisi ci vogliono dosi da elefante del fattore F intesa come Fortuna (non ridete, lettori), o basta trovare bravi manager? La risposta di Roger Abravanel, direttore emerito di McKinsey, e saggista, in chiusura di convegno, porterebbe alla seconda opzione. "In Italia si è coltivato il mito della multinazionale tascabile, della piccola eccellenza di nicchia che si identifica con l'imprenditore, creando un tessuto produttivo e manifatturiero frammentato e incapace perciò di competere su scala mondiale soprattutto in termini di innovazione, marketing e comunicazione. Così in Italia parliamo sempre di imprenditori, mentre in Europa il termine più usato è manager, nonostante le imprese di origine familiare siano presenti anche in Europa e Usa". Ricordiamo, però, che dal punto di vista industriale l'Italia è uscita dalla povertà contadina per entrare nell'Olimpo delle prime 5 economie mondiali anche grazie a grandissimi self-made man che d'altronde lo stesso Abravabel ricorda -in particolare per il settore elettrodomestici- nel suo libro "aristocrazia 2.0 Una nuova élite per salvare l'Italia" (leggete assolutamente i capitoli 6 e 9). E d'altronde -per fare un salto verso l'odiernità- si pensi alla carriera raccontata dallo stesso Giancarlo Nicosanti, quarant'anni in Unieuro, dove è entrato nel 1982 come commesso: oggi è l'amministratore delegato. In Italia -paese dove l'ascensore sociale e culturale è fermo al sottoscala da almeno vent'anni- Nicosanti è un'eccezione, una felice anomalia, non la regola. Comunque ho letto volentieri Aristocrazia 2.0. Abravanel ne ha anticipato alcuni temi nella chiacchierata finale con Mario Resca, e in particolare quello della "burocrazia iper-prudente" per non dire spaventata come effetto indiretto dell'inflazione da inchieste e processi, cui dedica parecchie pagine del suo libro (capitolo 9). Secondo Abravanel non è la burocrazia in se stessa il problema, e quella italiana è una delle migliori o delle non peggiori al mondo.