“Rafforzeremo la nostra capacità di aiutare i nostri clienti nel raggiungimento dei loro obiettivi -commenta Mirko Baldini, nuovo responsabile del Property Management di Cbre Italia- credo che Cbre abbia tutti i requisiti per rispondere a pieno alle nuove esigenze di investitori e tenant, soprattutto in termini di digitalizzazione, competenze Esg e capacità di innovazione, elementi che contraddistinguono la riconosciuta qualità dei servizi che oggi offriamo”. Mirko Baldini, classe 1973, che subentra a Franco Rinaldi, è in realtà in Cbre da 17 anni, dal 2005: vi entrò, come lui stesso racconta, quando ci lavoravano 20 persone. Oggi sono 450. La crescita di Cbre Italia trova il suo principale snodo storico nell’acquisizione di Espansione Commerciale (2008). Baldini è stato Coo dal 2017, dopo aver assunto ruoli di responsabilità nel dipartimento Capital Markets e guidato per 6 anni il dipartimento Valuation&Advisory Services. Con questa nomina porterà il suo contributo alla crescita e alla valorizzazione della piattaforma Property Management per le categorie retail, uffici, logistica e Npl, favorendo l’implementazione del residenziale (Living), con particolare focus su data intelligence e Esg.
Il mercato degli investimenti nei centri commerciali è praticamente fermo. C’è ancora speranza per una ripresa?
I 565 milioni investiti nel retail da inizio anno sono un +60% rispetto ai primi nove mesi del 2021. Vero è che i mesi a venire non saranno brillanti lato investimenti. Io sono comunque ottimista, i segnali di ripresa ci sono, a luglio-agosto abbiamo registrato performance superiori al 2019 in termini di fatturato, purtroppo non ancora controbilanciati dal recupero delle frequenze (footfall). La domanda da parte dei retailer è consistente, in particolare quelli che hanno (anche) una rete di negozi fisici, e segnali altrettanto positivi in termini di domanda mi arrivano dal settore leisure, cinema in primis. Siamo convinti di poter fare ancora un salto di qualità nei servizi. Ecco perché vogliamo presentarci come Cbre Retail, e non come singoli dipartimenti specializzati. Gli spazi interni per l’innovazione non mancano: per esempio, abbiamo creato da zero un team di food&beverage composto oggi da 4 persone. Ci vogliono investimenti in persone oltre che sulla piattaforma. Abbiamo voglia di tornare protagonisti. Per storia e specializzazione professionale, conosciamo gli occupier e le loro esigenze, sappiamo cosa vogliono gli investitori, conosciamo i proprietari, gestiamo 60 gallerie, abbiamo un team Rds (Retail Development Solutions) di 12 professionisti (coordinato da Paolo Rasnesi), architetti e ingegneri che realizzano tecnicamente le iniziative di asset management, abbiamo una squadra dedicata agli Npl, e abbiamo un team di Esg.
Allora cosa vi manca o vi è mancato?
Forse ci è mancata la forza di affermare con più decisione questa forza e compattezza di fronte agli stakeholder.
A proposito di Esg, quanto rappresentano gli immobili certificati sul totale del vostro portfolio?
Siamo intorno al 10% nei centri commerciali, ma si arriva al 20-25% per le asset class uffici e logistica.
Caro-energia: colpisce più i retailer o le gallerie?
Attualmente siamo circa il 25% in più di service charge rispetto all’anno prima, abbiano appena costituito una task force per lavorare su 2 livelli: risposte sul breve periodo, e quelle a lungo periodo. Le prime sono le strategie passive: come ridurre consumi attraverso i comportamenti virtuosi; le seconde, le strategie attive, richiedono delle capacità di investire in capex (es. impianti) che non tutte le proprietà hanno in questo momento. E questo discorso vale anche per altri ambiti come la digitalizzazione.
Le proprietà hanno i braccini corti?
Non esattamente, ma è certo che facciamo fatica a far passare determinati progetti. La trasformazione digitale è un mantra che ci assorbe tutti in questo momento, ma intervenire su asset così storici come i centri commerciali (dico storici pensando all’età media: almeno 25 anni) è una grandissima faticaccia. Realizzare un progetto di digital advertising su tutte le gallerie (e noi ne abbiamo 60) dove nello stesso momento trasmetto i medesimi spot, vuol dire che le proprietà devono investire in maxischermi e questo è tutt’altro che facile. Noi ci stiamo lavorando, abbiamo un progetto pilota. La digitalizzazione è una parola-ombrello che racchiude moltissime cose: va dalla business intelligence applicata al retail fino ai metaversi. Poi ci sono delle priorità: e il metaverso nella nostra agenda non è ai primi 5 posti.
Quante sono oggi le direttrici dei centri commerciali?
Cbre ha una presenza al femminile superiore al 50% e siamo un’azienda molto giovane, l’investimento in diversity e inclusione è impressionante in termini di iniziative che coinvolgono tutta l’organizzazione interna e community&giving nelle comunità nelle quali operiamo (impossibile stimare le giornate investite, oltre 200.000 euro investiti negli ultimi 18 mesi). Per fare un esempio, la nostra responsabile degli on site manager è una donna, Elisa Gibertini, che coordina i manager su tutti i 60 centri commerciali da noi gestiti. La percentuale di direttrici oscilla tra il 10% e il 15%. Consideri che questo settore ha circa 40 anni ed è nel complesso un mestiere storicamente maschile.
Il retail è un mestiere sexy?
Il retail non è mai stato così dinamico come oggi, la digitalizzazione aiuta a fornire molte risposte. Io sono convinto che il retail è al primo posto sul podio, non c’è nulla che si avvicini, poi ci sono altre asset class affascinanti e in crescita. I laureati oggi sono molto più esigenti, ma il commercial real estate che ha solo 20 anni, oggi è molto più riconosciuto sul mercato.
Dica la verità Baldini, c’è o no in generale un problema di silent resignation nel retail?
Non lo penso, Cbre Italia fa un terzo del fatturato in ambito retail e continuiamo ad investire, e quando vedo la domanda dei retailer per due progetti prime che stiamo commercializzando ne trovo conferma. Vero è che le sfide da affrontare sono tante e complesse, e magari si può avere il feeling che vi sia qualche passo indietro, silenzioso.
Quali sono le altre asset class interessanti?
Metto al primo posto il nuovo residenziale. È stimolante non solo per gli spazi di sviluppo che presenta, ma anche per le novità che porta in termini di sostenibilità tecnico-edilizia, e di servizi. Tra 15-18 mesi arriveranno i primi sviluppi su Milano e Roma. Questo tipo di asset class nel 2021 ha pesato per il 7%, a fronte di una media europea del 29% con punte del 40% nei mercati maturi. L’asset class del futuro è il built-to-rent, ti affitto le unità, ma all’interno del pacchetto ci sono i servizi: oggi questi sviluppi vanno dalle 100 alle 600 unità. Il mercato retail rimane il focus: l’obiettivo principale del property management di Cbre Italia è sviluppare nuovi servizi con particolare attenzione a data intelligence, Esg e residenziale (living), considerato il futuro del commercial real estate
Outlook 2022 positivo
Nel 3°Q 2022 il retail ha registrato investimenti pari a 67 milioni, 565 milioni di euro da inizio anno. C’è più prodotto sul mercato, soprattutto out of town, e il recupero dei fatturati dei retailer, ma i nuovi investimenti sono ostacolati dalla limitata disponibilità di finanziamento e dalla crescita dei costi di financing. Commenta Silvia Gandellini, head of capital markets & A&T high street landlord di Cbre Italy: “Il Q3 è caratterizzato da un atteggiamento attendista da parte degli investitori core. I risultati del 3°Q 2022 li dobbiamo al contributo di investitori istituzionali domestici e a grandi operazioni full-equity in mercati prime in particolare uffici. L’outlook a fine ‘22 resta positivo, con chiusura attesa sopra i livelli 2021. Parallelamente, le difficoltà di accesso al credito ampliano il gap tra le aspettative dei venditori e dei potenziali acquirenti, con tendenza al repricing comune a tutte le asset class: ciò rallenta le operazioni e riduce gli investimenti nei primi mesi 2023”.