Il primo punto di vendita Pam è stato aperto il 13 dicembre 1958 a Padova: il 2018, anno della celebrazione dell’anniversario dei sessanta anni di attività con iniziative e promozioni di vario genere, è un buono spunto per guardare alle evoluzioni del retail e alle sfide che il mercato prepara. Questi alcuni dei temi che abbiamo affrontato con Salvatore Dina, presidente di Gruppo Pam.
Come immagina l’evoluzione del retail in Italia nei prossimi cinque anni?
Un orizzonte relativamente breve. È possibile ipotizzare un retail in Italia come proiezione dei trend attuali: quindi una sempre più marcata spaccatura tra chi offre il prezzo e chi offre il servizio. Pam, come Gruppo, dispone di diversi format e riesce a giocare un ruolo in entrambe le tipologie.
Quali saranno i formati vincenti di domani?
Il modo di fare la spesa è radicalmente cambiato rispetto al passato. Famiglie più piccole e pasti destrutturati richiedono immediatezza e meno pianificazione nel comportamento di acquisto alimentare. Vediamo che i piccoli punti di vendita con ampi orari di apertura ed un assortimento piuttosto concentrato sul pronto da cuocere e pronto da mangiare riscuotono interesse, in particolare nelle grandi città.
Vita sempre più dura per ipermercati e centri commerciali ...
Più i negozi sono lontani dai normali tragitti, più fatica e tempo sono necessari per raggiungerli e fare la spesa che serve, più vi è necessità di attirare il cliente. Mentre la prossimità assolve ad un ruolo di funzionalità, gli ipermercati e le grandi superfici si concentreranno sulla convenienza e/o sul divertimento.
Focus sui servizi, quindi, quali non dovranno mancare nella gdo di domani?
Soprattutto quelli legati all’integrazione tra spesa alimentare e preparazione del pasto, fino alla sua somministrazione. Il cibo pronto per asporto è una grande opportunità, che sia preparato instore o già confezionato.
Parliamo di come integrare, store fisici e online. Il suo punto di vista?
Senza dubbio vi è domanda per la spesa online e probabilmente aumenterà se riusciremo ad accorciare i tempi tra l’ordine e la consegna. Il click&collect, al momento, rappresenta un valido compromesso, richiedendo limitati investimenti e costi da parte del retail fisico.
Rapporti industria-distribuzione: il punto sulla situazione attuale. Il ritardo dell’industria di marca nel proporre nuovi prodotti in linea con i trend di consumo dimostra un calo di interesse per il mercato italiano, o comunque un maggior interesse per mercati più grandi e promettenti. Il gap è parzialmente colmato dalle piccole imprese, spesso copacker, oppure da integrazioni verticali del retailer. Inoltre, l’approccio al mercato è rimasto molto ancorato agli schemi tradizionali di prezzi alti con frequenti promozioni. Con l’affermarsi del discount, piccolo o grande che sia, forse è necessario un ripensamento.
In questo scenario, le supercentrali come Aicube di cui fate parte svolgono ancora un ruolo?
Sì, e compatibilmente con i vincoli posti dalla legge sulla concorrenza c’è sicuramente anche spazio per crescere attraverso l’adesione di nuovi soci. Non escludo possibili alleanze internazionali, ma ritengo siano non imminenti, essendo alcuni soci già impegnati su questo fronte per proprio conto.
La gdo in Italia continua a soffrire di una bassa immagine come settore. Cosa ne pensa?
Un maggior coinvolgimento sui temi della distribuzione moderna e sulle relative criticità aiuterebbe a capire meglio che anche il food retail ha una funzione sociale importante da non trascurare. La partecipazione a diversi focus group ed interviste mi ha convinto che il cittadino consumatore non abbia lo stesso atteggiamento nei confronti della distribuzione moderna; anzi c’è uno scollamento tra sistema economico e percepito comune, che ci favorisce.
Cosa vorrebbe chiedere al Governo per sostenere il settore e i consumi nel 2019?
Crediamo sia necessario, per il nostro business ed in generale per il sistema Paese, una maggiore stabilità e chiarezza nella strada che si vuole intraprendere. Ad esempio, non tanto tempo fa abbiamo avuto la possibilità di aprire i negozi le domeniche; ci siamo attrezzati, assunto personale, organizzato la logistica e dato un servizio al consumatore. Oggi si parla di chiudere le domeniche con tutte le conseguenze che ciò comporterebbe per noi e per i clienti. Non fermiamo il progresso, per carità, ma almeno mettiamoci d’accordo su cosa significhi e lavoriamo assieme per perseguirlo.
Gdo e made in Italy: un rapporto destinato ancora a crescere?
Sempre di più. Mai come ora vi è consapevolezza e preferenza del consumatore per il prodotto italiano. Ci viene chiesto e rappresenta un valore aggiunto: in particolare, il prodotto di provenienza locale, ovvero della regione in cui opera il punto di vendita. Inoltre, il prodotto locale con la stagionalità è anche un modo per animare il negozio e renderlo più piacevole a livello di ambientazione.
In passato, i vostri interessi imprenditoriali comprendevano anche la ristorazione, un business oggi sempre più interessante. Ci sarà un ritorno di fiamma?
Sì, torneremo a dire la nostra in questo ambito, ma non nella ristorazione stand alone, che ci ha caratterizzato in passato, ma come integrazione dell’offerta del supermercato e dell’ipermercato. Nella maggior parte dei nostri negozi con superficie maggiore di 3.000 mq è già presente una cucina che prepara menù giornalieri unicamente per l’asporto. Il nostro obiettivo è mettere a valore quest’area, rendendola un vero centro di attrazione per il consumo in loco, lavorando sull’ampliamento dell’offerta con preparazioni e pietanze in linea con i trend di consumo odierni.