Pratiche sleali alla fase finale: ultime correzioni UE?

Un testo definitivo è possibile prima della fine della legislatura. La proposta individua otto pratiche a cui ne saranno aggiunte altre, tra le 42 proposte dai gruppi parlamentari, con l’obiettivo di riequilibrare la forza negoziale tra gli attori della filiera

La Direttiva sulle pratiche commerciali sleali nei rapporti fra imprese nella filiera agro-alimentare sta per vivere un momento di grande importanza. Il 6 dicembre, infatti, potrebbe essere approvata in via definitiva, per entrare in applicazione tra circa 9 mesi ed integrarsi con le singole legislazioni nazionali. Dopo oltre dieci anni di discussioni, dopo 3 Comunicazioni da parte della Commissione europea e dopo che 20 Stati membri (tra cui l’Italia) hanno legiferato in materia, lo scorso 12 aprile il Commissario all’agricoltura Phil Hogan ha presentato la proposta di direttiva sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare.

In Italia è in vigore dal 2012 una normativa che disciplina la contrattazione e le pratiche sleali (Decreto legge 24 gennaio 2012, n.1 articolo 62), la cui responsabilità è stata attribuita all’Agenzia Garante della Concorrenza dei Mercati. Si tratta di un primo tentativo di regolamentazione completa della filiera, che oggi dipende direttamente o indirettamente da questioni di dimensioni e di legislazioni nazionali anche transeuropee. È all’attenzione di tutti la questione delle centrali di acquisto, della loro ubicazione geografica e delle spinte al ribasso nelle forniture: “lo schiacciamento dei margini porta gravi problemi e dubbi sul rispetto delle norme e sul mantenimento della qualità”.

La direttiva proposta da Hogan

La proposta del Commissario Hogan prevede una lista minima di pratiche commerciali sleali che ogni stato membro dovrà proibire, lasciando poi alle autorità nazionali la possibilità di integrarle a seconda delle proprie specificità e necessità. Tale proibizione sarà automatica in quattro casi:

  1. ritardi nei pagamenti per i prodotti deperibili;
  2. modifiche unilaterali e retroattive dei contratti di fornitura;
  3. cancellazione degli ordini di prodotti deperibili con breve preavviso;
  4. pagamento per il deterioramento dei prodotti già venduti e consegnati all’acquirente.
Paolo De Castro, Primo Vice Presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo
Paesi europei? Ancora in disaccordo

I rischi di mancare un accordo ci sono. Basti pensare alle posizioni nazionali: questa direttiva ha preso spunto da quella in vigore in UK, ma ora che c’è la Brexit il loro interesse è di allungare i tempi. I Paesi del sud sono compatti per il sì, mentre a nord Svezia, Danimarca e Olanda sono contrari. Ci sono poi i tanti punti sui quali trovare un accordo: nella maggior parte dei casi si potrà velocemente porsi nel mezzo, come il tempo da attendere prima di una valutazione dei risultati (tra tre e cinque anni ci si accorderà su 4), ma altri sono ben più complessi, come lo sbarramento fatturato/dipendenti per l’applicabilità della norma, sul quale verte gran parte dell’utilità complessiva del documento.

I ritardi potrebbero avere effetti rilevanti. L’attuale presidenza austriaca sta scadendo, per essere sostituita da quella rumena, con un ritardo valutabile in circa due mesi, ovviamente più i nove di tempi tecnici (2-3 per traduzione del testo, 6 per il recepimento). E con le elezioni europee in arrivo a fine maggio, arrivare all’approvazione sarebbe molto più difficile.

Il problema del controllo

Piuttosto articolata appare poi la procedura di verifica delle infrazioni in Italia. Ci sono dubbi sull’effettiva adeguatezza del lavoro svolto dall’AGCM (Agenzia Garante della Concorrenza dei Mercati): questo organismo in Italia ha finora accertato un solo caso, più il recente controllo sulla panificazione, contro le decine annue degli organismi similari di altri Paesi membri. Al Garante potrebbe essere affiancata una seconda entità di controllo, ad esempio l’ICQRF, Ispettorato centrale repressione frodi. Rilevante anche la territorialità del procedimento, che potrebbe essere perseguita legalmente non nel Paese dove ha sede legale la parte supposta lesa, ma nel Paese nel quale si ritiene perpetrata la slealtà.

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