La nuova Sicaf di Pradera ha l’obiettivo di facilitare gli investimenti in Italia. Ne parla Roberto Limetti, managing director. Da Mark Up 309 maggio 2022

Questa intervista a Roberto Limetti, amministratore delegato di Pradera, figura storica nell’immobiliare commerciale italiano ed europeo, nasce da una notizia di natura fiscale-finanziaria, ma con implicazioni importanti e concrete sullo sviluppo e l’investimento immobiliare. Pradera Real Estate Investment Sicaf SpA (Prei SpA) investirà nell’immobiliare retail con focus sui centri e i parchi commerciali, ma senza escludere altre asset class. Prei SpA è diventata operativa il 30 dicembre 2021. La società, con sede a Milano in via Melchiorre Gioia, ha designato per la gestione del proprio patrimonio il gestore di fondi d’investimento alternativi (Gefia) lussemburghese Tmf Fund Management S.A. Al momento, Pradera Management Italy (Pradera) detiene il 92% del capitale sociale della nuova Sicaf, mentre il restante 8% è del fondo americano di investimento Crestline Investors Inc, entrato con questa operazione nel mercato italiano. “Abbiamo iniziato con volumi non altissimi - commenta Roberto Limetti - sarei felicissimo se chiudessimo il 2022 tra i 50 e i 100 milioni di investimento”.

Pradera è una società di investimenti immobiliari a destinazione retail di respiro internazionale, con portfolio concentrato in Europa tra Regno Unito, Germania, Polonia, Francia, Spagna e Turchia. Uscita dal mercato cinese con la cessione di beni per 1,2 miliardi di dollari (ma in Cina sono ancora attive le sedi di Shangai e Hong Kong), Pradera sta proseguendo con i suoi progetti di sviluppo in altre aree geografiche e, proprio in questi mesi, sta lavorando su un importante mandato con un partner locale. Pradera è storicamente associato ai retail park come prodotto “core”. In Italia, però, dopo la cessione di Meraville a Bologna, i suoi parchi commerciali sono rimasti tre: a Catania, Bari e San Rocco al Porto (Lo).

Siete presenti in tutta Italia. Com’è cambiata la strategia di sviluppo dopo la pandemia?
Abbiamo asset in Sardegna, Sicilia, Puglia, basso Lazio, Campania, Molise, Veneto e Piemonte. Siamo molto aperti, non ci spaventa operare al Sud, anzi là abbiamo fatto ottimi investimenti. Come tipologia di immobili non abbiamo grandissime remore, ed è nostro compito spingere gli investitori su questa idea, che si può fare business ovunque: noi guardiamo gli immobili per quello che sono, nel loro bacino d’utenza. La strategia di sviluppo in Italia non è particolarmente diversa da quella degli ultimi anni: vogliamo rappresentare per il mercato un punto di riferimento nei centri commerciali e nei retail park, essere uno degli attori più importanti per fornire servizi di asset management (che include riscossione affitti, parte tecnica, leasing) a investitori terzi, che non conoscono bene le dinamiche locali. Pradera lo ha sempre fatto in due maniere: investendo direttamente con fondi propri, gestiti dalla casa madre, oppure per conto terzi individuando player con cui sviluppare partnership.

Poi c’è una terza via, rappresentata per noi dalla joint venture con Axa, nella quale abbiamo una quota minoritaria, e con cui collaboriamo in qualità di co-investitori e come partner operativo. Negli ultimi 12-18 mesi, con il supporto di Stefania Emanuele, joint head of Italy di Pradera, abbiamo studiato il modo migliore per facilitare gli investimenti che già esistono, e per attrarre nuovi capitali, visto che il mercato dei centri commerciali in Italia non è adesso il più sexy. La soluzione migliore è stata quella di costituire un veicolo finanziario dalla struttura fiscale ottimizzata: ecco perché la scelta della Sicaf. Abbiamo attratto in Italia un investitore nuovo per il nostro paese, Crestline Investment Inc, acquisendo due centri commerciali, uno in Molise, a Montenero di Bisaccia, l’altro in Lombardia, a Vigevano.

State lavorando su altre acquisizioni?
No, la Sicaf può ospitare immobili di qualsiasi tipologia, quindi teoricamente possiamo acquisire anche uffici e hotel. Pradera è una società esperta negli immobili a destinazione retail, in particolare centri e parchi commerciali, ma se un investitore ci chiede una consulenza per acquisire immobili a destinazione diversa, siamo ben felici di farlo. Stiamo considerando investimenti che vanno dai portafogli gdo come super/ipermercati per investitori più core, a parchi commerciali per investitori added value, e centri commerciali per società più aggressive sul piano dei ritorni. Partiamo da un investimento minimo di 10-15 milioni di euro.

Entro la fine del 2022 prevedete altre operazioni?
Sì, certo, non c’è un obiettivo numerico, siamo opportunity driven, guidati dalla volontà dell’investitore. Elaborare un piano di investimenti in Italia per il nostro settore è abbastanza difficile in questo momento. Le opportunità sorgono con l’evoluzione del mercato. La nostra capacità è cogliere quelle più interessanti per la fonte di capitale, più propizie o conformi alle esigenze degli investitori. Vogliamo crescere, riteniamo di avere una pipeline di possibili investimenti futuri sui quali stiamo lavorando. Siamo relativamente ottimisti.

Come vede il mercato italiano attualmente?
Di sicuro l’attuale situazione non aiuta, anzi, determina ulteriore instabilità in un quadro già incerto; poi dipende dalla tipologia di investitori: i tedeschi hanno un atteggiamento tipo “fermi tutti, vediamo cosa succede”, adottano insomma la proverbiale pausa di riflessione; gli investitori più aggressivi sono guidati dalle opportunità di mercato, penso agli americani o agli israeliani (maggiore l’incertezza, più basso il prezzo, più alto il ritorno). Il mercato italiano dei centri commerciali sta vivendo una totale dicotomia tra domanda e offerta: chi ha gli asset più richiesti non è disposto a venderli ai prezzi che chi vuole acquistare vorrebbe sentirsi proporre; sono pertanto le difficoltà del momento a fare il mercato, come quelle, per esempio, di chi non riesce a far fronte agli impegni finanziari e di conseguenza viene costretto a vendere a poco.

Il motore del 2022 sono gli istituti di credito: le banche iniziano ad ammettere che ci sono situazioni di sofferenza complicate o impossibili da recuperare e quindi conviene loro o affidarsi a qualcuno che sia in grado di gestire immobili complessi o sostenere write-off di cui hanno urgenza di liberarsi, non necessariamente Npl. Nel periodo 2020-2022 le banche diventano dunque protagoniste del capital market. Chi ha un centro commerciale performante e non ha scadenze particolari non lo mette sul mercato, chi è attivo sul mercato a livello di investimenti vuole pagare l’immobile meno di quanto il venditore si aspetta. Fatico a pensare a un recupero clamoroso.

I parchi commerciali invece non rientrano in questo trend?
I retail park stanno vivendo una primavera interessante. I parchi sono prodotti immobiliari più resilienti, più facili da leggere e comprendere, economicamente sostenibili anche per i retailer. E le banche cominciano a interessarsi, a vederli come opportunità di finanziamento.

I retail park sono anche meno costosi sul piano gestionale?
L’impatto energetico è importante, ma un immobile in un parco commerciale consuma meno. I retail park hanno una struttura più agevole e costi fissi più bassi. Negli ultimi anni tutti hanno compiuto sforzi titanici per ridurre i costi; prima erano impegni individuali, dettati dalle politiche dei singoli. Poi, tramite il Cncc, è stato fatto un lavoro eccelso tramite la Commissione costituita ad hoc, elaborando un vademecum ricevuto da tutti gli iscritti: la maggior parte sono allineati sull’obiettivo di migliorare.

Chiudiamo in bellezza, cioè con il Lingotto: sarà, suppongo, iper-certificato.
Avrà il livello più alto di certificazioni ambientali. Lingotto è un’epopea, lo abbiamo acquistato con Axa prima della pandemia, per migliorarlo, con già i permessi per l’ampliamento: 12.000 mq di Gla, una grande opportunità. Poi è arrivato il Covid ma abbiamo sviluppato il progetto che avevamo in mente: abbiamo creato un piano nuovo (pad.5), ristrutturato il piano sopra (ex corte 4) e rinnovato totalmente la galleria. Inoltre, poiché avevamo notato un netto squilibrio nel retail mix, abbiamo trasferito la ristorazione di fronte al cinema, spostando una serie di operatori e aggiungendone altri: abbiamo ultimato la nuova food court da un mese. Il progetto è quasi concluso. L’immobile è complicato, con tanti vincoli legati alla storicità, e poi perché è un asset con più proprietari, e include 40.000 mq di uffici, due alberghi, l’Università, la Fiera di Torino, l’Auditorium Fiat. Un progetto unico in Europa.

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