Pmi: le più attente alla responsabilità sociale d’impresa sono anche più green

Quasi 4 aziende su 10 sono interessate all'Rsi, e alla transizione ecologica. Poche, però, sono pronte a competere nella sfida della sostenibilità Esg.

Cresce tra le imprese italiane l'approccio verso i temi legati alla sostenibilità: il 59% di esse ha istituito un comitato Esg (Environmental, social, and corporate governance), in linea con il 61% delle realtà globali. Gli investimenti complessivi sono destinati prevalentemente a cultura e sport (67% delle imprese), assistenza sociale (53%), ricerca e sanità (52%), istruzione (48%), coesione sociale (45%). È quanto emerge dalla recente ricerca "Corporate Social Investment e Esg - Global Impact at scale" di Dynamo Academy e Sda Bocconi Sustainability Lab secondo cui, per il futuro, i trend da seguire in Italia riguarderanno l'investimento verso gli stakeholder interni, la ricerca di metriche comuni per il reporting della sustainability, e la ricerca di concretezza per le azioni di diversità, equità e inclusione.

In questo contesto le grandi aziende sono spinte a dotare i loro consigli di amministrazione di professionisti esperti in ambito Esg oltre che individuare i dirigenti di riferimento all’interno delle strutture produttive. Questa esigenza è ancora più presente per quanto riguarda le Pmi, che esprimono un numero finora molto limitato di aziende già pronte a competere nella sfida globale della sostenibilità Esg. Su queste basi nasce la necessità di formare il personale di tutte le aziende con un protocollo dedicato, per diffondere le buone pratiche il più possibile.
Per la realizzazione del piano di formazione, è stato siglato un accordo tra Fòrema, ente di formazione di Confindustria Veneto Est (associazione di impresa che rappresenta 5.500 aziende), e Iase Italy, filiale italiana della “International Association for Sustainable Economy”. Si tratta di un pacchetto formativo che le aziende potranno acquistare e quindi fornire ai dipendenti, che a seguito del compimento del programma di studio, dovranno sostenere un esame per ottenere la certificazione internazionale.
...Abbiamo intrapreso l’iter per diventare ente formativo accreditato anche a livello internazionale da Iase International, perché mai come adesso crediamo sia necessario formare gli imprenditori, in particolare quelli del mondo della finanza, attorno a questi temi e dare risposte concrete alle nostre imprese, al di là delle inutili iniziative di facciata -spiega Enrico Del Sole, presidente di Fòrema e vicepresidente di Confindustria Veneto Est-. La modalità scelta è quella di corsi di eLearning che erogheremo direttamente dalla nostra piattaforma online ispirandoci a protocolli di successo già operativi nelle grandi capitali come Londra e Madrid”.

Fòrema ha fornito a un parterre di imprenditori e manager del Triveneto potenzialmente interessati ai corsi di formazione una serie di questionari per capire le loro priorità su diversi ambiti. Ecco alcune anticipazioni di questo studio: in primo luogo, tra i vari asset sui quali si possono sviluppare le Esg, la parte sociale, il rapporto coi dipendenti e col territorio sono quelle dove le aziende risultano essere più mature: il 43,5% delle imprese dichiara di aver avviato progetti in tal senso. Si sta ancora lavorando sulla parte ambientale (oggetto di operatività solo nel 26% dei casi) mentre la parte di governance è quella più lacunosa (solo il 22,7% delle imprese ha intrapreso percorsi in tal senso).
Tra i trend più interessanti, il rapporto stridente tra quanto si comunica e quanto poco si faccia. Infatti, solo una azienda su 20 (5%) dichiara di misurare il proprio impatto ambientale con dati e numeri precisi, adottando uno standard indipendente di analisi come il B Impact Assessment o l’Sdg Action Manager, mentre una ogni due (50%) si vanta di comunicare e aver attivato azioni di marketing in ambito di sostenibilità.
Dietro questi dati c’è chiaramente una vocazione al green washing a vari livelli che riguarda dunque circa metà delle aziende. Sono poche, per esempio, le imprese che si sono dotate di un piano di decarbonizzazione. Solo un' azienda su quattro (il 26%) monitora le emissioni di anidride carbonica relativamente alle emissioni dirette generate (come la combustione di combustibili fossili per riscaldare uno stabilimento) o alle emissioni indirette legate ai consumi energetici (esempio: produzione di elettricità per alimentare uno stabilimento). Una sola azienda su cinque (il 20%) si è data degli obiettivi di riduzione dell’anidride carbonica nel medio periodo, mentre il 37% dichiara di essersi data obiettivi specifici per la riduzione degli impatti ambientali.

Limitando il campo alle sole Pmi, sono circa 300.000 le società (pari al 37,5% del totale piccole medie imprese), interessate alla responsabilità sociale d’impresa (Rsi); si tratta delle stesse aziende che investono di più nell’efficienza energetica.
Lo segnala una recente ricerca realizzata dell'energy service company EnergRed.
EnergRed si propone di estendere e far conoscere i benefici dell’Rsi all’intero Paese, puntando sul fotovoltaico come fonte di energia più conveniente per le aziende. E nell’ambito del 'Programma Rsi per il 2023', EnergRed intende anche finanziare progetti di riforestazione finalizzati a contrastare i cambiamenti climatici: "Di fronte ai disastri ambientali, al cambiamento climatico, all'incremento del divario tra le aree ricche e quelle povere del pianeta -puntualizza Moreno Scarchini, ceo di EnergRed- cresce la consapevolezza che la politica, da sola, è impotente, se non accompagnata dall’impegno diretto delle imprese ed alla necessaria transizione verso fonti di energia pulita e rinnovabile".
Uno studio realizzato per conto della EnergRed dall’International Center for Social Research ha sondato il livello di propensione alla Rsi nel segmento Pmi nelle diverse regioni d'Italia, individuando sul podio: Lombardia (50,4%), Trentino Alto Adige (48,5%) e Friuli Venezia Giulia (46,2%).
Seguono, nella Top 10 di EnergRed, Piemonte (43,4%), Veneto (42,6%), Emilia Romagna (40,1%), Lazio (39,5%) Umbria (38,7%), Valle d’Aosta (37,4%) e Liguria (36,3%).
La propensione alla Rsi è invece minore nelle rimanenti regioni: Toscana (36,2%), Basilicata (35,8%), Molise (35,1%),Sardegna (34,8%), Sicilia (34,8%) Marche (32,5%), Puglia (32,4%) Campania (29,4%), Abruzzo (28,7%) e Calabria (28,2%).

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