È sato presentato a Milano il primo rapporto HonestFood, elaborato insieme all’Università Liuc Business School. HonestFood propone un ripensamento della filiera agroalimentare con l’obiettivo di portare cibo buono, salubre e accessibile al consumatore, garantendo equilibrio e un’equa distribuzione del valore lungo tutta la filiera dal campo alla tavola. Su impulso dell’imprenditore agroalimentare Giacomo Pedranzini, che da tempo riflette e opera secondo questi principi, un gruppo di professionisti esperti del mondo food ha verificato una sperimentata comunanza di idee e si è costituito come comitato promotore dell’Associazione HonestFood, che è ufficialmente nata a settembre 2023. L’Osservatorio ha l’obiettivo di studiare la distribuzione del valore lungo la filiera agroalimentare per promuoverne una più equa ripartizione. “Abbiamo alcuni obiettivi principali -afferma Chiara Mauri, direttrice dell’Osservatorio Liuc-HonestFood-. Indagare il significato e le dimensioni del concetto di onestà; valutare la distribuzione del valore nella filiera agro-alimentare complessiva tra i segmenti che la compongono e misurare la sua equità. E ancora, svolgere la stessa valutazione per specifiche filiere del settore agro-alimentare. Individuare iniziative per allineare il beneficio economico di ciascun segmento all’effettivo contributo al valore creato. Creare un insieme di criteri per riconoscere l’onestà di un’impresa e di una filiera agro-alimentare”. “Dall’analisi svolta dall’Osservatorio”, prosegue Chiara Mauri, “emerge che l’Onestà ha un significato complesso e articolato, è un concetto multidimensionale e si presta a diverse interpretazioni. L’onestà implica sempre una relazione di fiducia orizzontale o verticale tra persone, aziende, settori. Tra genitori/nonni e figli, tra imprenditori/manager e collaboratori; tra collaboratori, tra cliente e fornitore e tra concorrenti. L’onestà si esprime sempre in qualcosa di visibile e concreto che la rivela: un prodotto fatto in un certo modo, un prezzo, una promozione, un ambiente, una campagna di comunicazione. L’onestà è bella e piace, ma si dice anche che l’onestà ‘al 100% muore di freddo’ e richiama spesso il suo opposto: luce e buio, bianco e nero, viso e maschera. Non esclude l’edonismo, ma anzi obbliga a portarlo in primo piano”. Per definire il concetto di onestà sono state incrociate tre “strade”: Il concetto di onestà nella letteratura academica; cosa recita lo statuto di HonestFood e come gli individui interpretano il concetto di onestà, con particolare riferimento alla filiera agroalimentare. Nella letteratura accademica l’onesta è uno dei tratti della personalità di un individuo e non esiste una misura dell’onestà riferita a un’azienda, a un brand a un prodotto o a un sistema complessivo. Inoltre, esiste un’unica scala per misurare l’onestà di un individuo: la Honesty-Humility Scale. L’onestà non era considerata un tratto distintivo della personalità di un individuo; il tratto che le si avvicina di è più è Conscientiousness (modello delle Big Five). Nel 2007-8 due psicologi propongono l’Hexaco model, che ha sei facce di cui una è l’onestà. La Honesty-Humility Scale originale si compone di quattro dimensioni. Sincerity: tendenza alla genuinità nei rapporti interpersonali; Greed avoidance: tendenza a non essere interessato al possesso di beni di lusso e a elevato status sociale; Fairness (equità) e Modesty (modestia). Ciascuna dimensione prevede quattro o cinque item secondo le versioni. Gli item misurano sia l’onestà sia il suo opposto. Complessivamente almeno 16 item; per cui l’onestà risulta un concetto articolato. Lo statuto di HonestFood prevede sei valori fondanti “Buonsenso ed equilibrio” “Valori e Valore”, “Costruiamo il futuro dei nostri figli”. E poi, “L’alleanza dei buoni”, “Ripensare metodi, pratiche e tecniche” e “Buono, sano e accessibile per tutti”.
Cosa vuol dire onestà?
L’analisi dell’Osservatorio è partita da una semplice domanda, che cosa evoca il concetto di Onestà per gli individui? “Sono state realizzate 22 interviste di un’ora con l’applicazione del metodo Zmet, Zaltman Metaphor Elicitation Technique”, spiega Chiara Mauri. “Ciascun individuo aveva una settimana per scegliere 10-12 immagini evocative del concetto di onestà, con l’applicazione alla filiera alimentare. In cambio ha ricevuto un piccolo compenso. Così sono state ottenute 245 immagini raccontate e 22 collage, intese come mappe concettuali, a cui è seguito analisi e classificazioni di immagini e testi con tecniche di topic modeling”. Di seguito alcune tra le immagini e i commenti raccolti. Alessandro, 67 anni, sul menu di un ristorante: “È un’immagine negativa perché l’innovazione è fatta sull’accostamento di materie rare che non ti aspetti abbinate: canederli di zucchine e polpa di granchio, gamberone sauté e salsa alla puttanesca. Cosa c’entrano i canederli con le zucchine? Si ha l’impressione che ci sia una matrice a doppia entrata in cui un bambino a occhi chiusi ha puntato il dito. È una non-innovazione che lascia perplessi e che risponde a ‘famolo strano’. È un modo disonesto di fare innovazione. Sembra casualità per sfruttare l’effetto sorpresa”. Cesare, 29 anni commenta un Pane “con” Segale. “Questo pane ‘con’ segale sfrutta la vena salutistica, ma non si capisce se ti stanno fregando o no fino a quando leggi gli ingredienti: è uguale al pane normale ma c’è una percentuale minima di segale. È un inganno. Se non ci fossero le etichette non sapremmo. Usano mezzucci per vendere un prodotto per un altro”. Elena, 30 anni e una foto che rappresenta il lavoro umano: “Valorizzare il lavoro umano. Invece di far fare tutto alle macchine o all’Ai; si deve trattare di lavori dignitosi. Continuo a leggere quali lavori saranno rimpiazzati dall’Ai: è inquietante e sbagliato”. Paola, 64 anni, esprime il suo pensiero su alcuni i bidoni del latte: “Foto scattata a Isola, Engadina. Bidoni del latte lavati e asciugati, pronti per essere riutilizzati. Latte alimento base, semplice, il primo alimento dei bambini, senza aggiunte, simbolico: il latte è simbolico. Contadino, non industriale, pacificatore nei confronti di chi percepisce la scena”. Per i partecipanti al focus, l’onestà è alla base del rapporto azienda - cliente. I clienti di un’azienda per sceglierla, e scegliere i suoi prodotti, devono potersi fidare dell’azienda e dei suoi valori. L’azienda deve quindi essere in grado di crearsi la reputazione di “azienda onesta” e trasparente al fine di creare rapporti duraturi con i propri clienti. Per quanto riguarda i collage, questi rispecchiano la personalità, la cultura, i valori delle persone che li hanno creati. Ogni collage ha uno-due grandi temi intorno ai quali si dispongono tutte le immagini. Dal racconto è stato possibile ricavare temi e parole chiave. Per esempio, dall’immagine “Pane ‘con’ Segale”: sono stati ricavati i temi Prodotto e Cibo e le keyword fregature, inganno ed etichette. Da “Coop Firenze” i temi Supermercato, luogo e le parole chiave Modello di business, Filiera, Apertura, Sicurezza, Tracciabilità (racconto: “Il modo in cui si comportano con i consumatori, il controllo della filiera, i vantaggi per i soci: si tratta di un modello pulito e aperto. Il cibo è più sicuro; mi sento sicuro perché la filiera è tracciata: si sa quello che succede. Non sono per il Km0, ma per la tracciabilità”). Terzo esempio. Titolo dell’immagine: Satnam Singh, il bracciante agricolo abbandonato gravemente ferito su una cariola, classificazione dei temi in categorie: contesto, lavoro. Keyword: compenso, lavoro, valore (racconto: “Compenso pari al valore. L’episodio della morte di questo bracciante mi ha molto impressionato e fatto riflettere sulla persistenza di certi comportamenti nella società 5.0: sembra impossibile, eppure è vero. Sono colpevoli i caporali o non è piuttosto una questione di sistema? Non credo si debbano pagare molto certi lavori, soprattutto se sono facili e temporanei. Non si possono pretendere remunerazioni elevate se non si sa fare le cose; si deve pretendere un compenso dignitoso e pari al valore che si dà al capo, all’imprenditore, all’azionista. Inutile gridare certi numeri nei titoli degli articoli sui quotidiani come se fossero non onesti: cosa prendeva un apprendista che imparava un lavoro? Poco niente fino a che diventava bravo. Ripeto: onestà significa compenso pari al valore e comunque in grado di sfamare chi lavora. Poi sulle 12 ore al giorno non mi scandalizzo”). Osservando la frequenza delle prime 10 categorie delle immagini utilizzate per rappresentare l’onestà emerge che la categoria Oggetti come maschere o specchi occupa il primo posto di utilizzo, 12,7%, insieme ad Arte e personaggi famosi, 12,7%. Parole, aforismi e definizioni al terzo posto con il 10%. Quarto posto per Prodotti e cibo, 9,4%. Seguono Contesto di lavoro, 8,6%; Bambini, nonni e persone, 7,8% e Parti del corpo come occhi e mano sul cuore, 5,7%. Chiudono la classifica categorie come Ristorante rappresentata da locandine o menu, 5,3%; Finestre vetro e luce al 4,5%. Significativo che i Marchi siano stati utilizzati nel 3,7% dei casi. La categoria eterogenea Altre rappresenta il 19,2% della frequenza di utilizzo. Al concetto di Onestà si arriva tramite simboli (per lo più colori); esempi di personaggi famosi come Nelson Mandela, Martin Luther King, Socrate, Giordano Bruno, Giovenale, Leonardo, Falcone e Borsellino, Salvini, Meloni, Movimento 5 Stelle e Papa Francesco. Altri simboli utilizzati sono state le metafore (vetro o specchi); prodotti come carote, latte; luoghi come supermercato ristorante. E poi ancora, lavoro inteso come remunerazione, orari, e organizzazione; frasi celebri di letterati o poeti e filosofi e relazioni tra persone. L’Onestà può essere ricavata anche dalle parole chiave prese dai racconti degli intervistati. “Verità, sincerità, trasparenza, schiettezza, illuminazione, apertura e nudo”, le parole chiave sono riconducibili ai valori del manifesto di HonestFood, in questo caso “Ripensare metodi, pratiche e tecniche”. Un secondo gruppo di parole è: “Essenzialità, semplicità, essenzialità, semplicità, minimalismo, naturalità, innocenza, purezza, pulizia spontaneità, accettazione, imperfezione, autenticità”. Anche questo gruppo si collega al valore “Ripensare metodi, pratiche e tecniche”. La parola chiave Valore si collega naturalmente a “Valori e Valore”. “Prezzi costi e guadagni” sono collegati con “Buono, sano e accessibile per tutti”; “Relazione, contratto, accordo, legame, patto” con “L’alleanza dei Buoni”. Il gruppo di parole più rappresentato da “Regole, controlli, tracciabilità e misurare” che ben si allinea con il valore “Ripensare metodi, pratiche e tecniche”. Alcune definizioni richiamano immediatamente il loro contrasto. Per esempio, “Verità, sincerità, trasparenza, schiettezza, illuminazione, apertura nudo parentesi (citate ben 45 volte) si contrappongono a “Menzogne, bugie finzioni, fregature inganni barare, manipolazione, doping, nascondimento, mafia, rubare (citate 50 volte). “Lavoro e organizzazione” sono contrapposte a “Umiliazione, regali, corruzione, spionaggio, favori, dimensioni schiavi”. E “Riutilizzo e restituzione” si opposte a “Spreco, discarica, eccesso buttare”. L’Onestà è certamente lodata, ma non appare un valore pienamente condivisibile o almeno difficile da applicare pienamente. Infatti, è stata così definita: “Solo l’onestà non basta negli affari, la furbizia aiuta ed è perfino necessaria per farti spazio”. “Pagare per ottenere quanto condannare?”. “L’onestà paga sempre, ma mi chiedo se tacere qualcosa sia assai più sensato che dire la stessa cosa”. “L'onestà è difficile da mettere in pratica, comporta sacrifici, richiede perdere qualcosa, non ha incentivi: perché una persona deve fare più fatica? Non conviene essere onesti”. “Giovenale: l'onestà è lodata da tutti ma muore di freddo”. “Essere onesti è rischioso”. “In conclusione”, afferma Chiara Mauri, “l’onestà implica un modello di impresa aperto e trasparente. L’onestà non si fa da soli e solo in una relazione con un partner riesce a esprimersi e la relazione è impostata sulla fiducia e guarda al lungo periodo. L’onestà va in scena nei luoghi a contatto con l’acquirente che, esposto agli stimoli dell’ambiente, dei prodotti e dei prezzi, in modo spesso inconsapevole interiorizza gradualmente il modello dell’intera filiera e lo sa valutare. Supermercati e ristoranti sono teatri elettivi per l’honestfood. Il cibo onesto è frutto di un’innovazione profonda, faticosa e rischiosa che richiede tempo, fatica e impegno. Conta il percorso, il processo produttivo. Il risultato è un prodotto semplice, autentico, naturale: Honest food non è semplicità o essere basic, ma ricercatezza”.
Ok, il prezzo è giusto?
“Quando il prezzo è giusto o meglio, onesto?”, chiede Andrea Venegoni, associate dean research & application for business, di Liuc Business School, “Il prezzo del cibo è onesto quando ne rispecchia il valore: l’obiettivo da raggiungere è avere prezzi chiari, giusti, remunerativi per tutti gli attori della filiera. Quindi come si fa a determinare il prezzo giusto? Questo è un percorso articolato che comprende diversi step”. “Step uno: Mappatura”, prosegue Andrea Venegoni. “Mappatura anche geografica dei flussi e delle transizioni della filiera. Step due: Identificazione. Individuazione degli attori della filiera e descrizione e valutazione del loro ruolo. Step 3: Analisi. Stima del valore aggiunto e del contributo alla formazione del prezzo per ciascuna fase della filiera. Step 4: Valutazione. Cioè, valutazione del ruolo di ciascun attore della filiera e del rapporto tra questo e il suo contributo finale”. La filiera agroalimentare è l’insieme di tutte le fasi attraverso cui un prodotto passa dalla terra alla tavola, dalla produzione e raccolta delle materie prime fino all’arrivo nel piatto del consumatore. Ogni alimento ha una sua filiera, rappresentata dalla sua storia, dai processi che ha subito, dai prodotti fino ad arrivare nei supermercati, nei negozi, nei ristoranti e nelle nostre case.
Dentro la filiera agroalimentare
La filiera agroalimentare si compone sostanzialmente di due macro ambiti fase della produzione e fase della commercializzazione. Il primo ambito comprende a sua volta l’Agricoltura (circa 1.500.000 imprese attive) e l’Industria Alimentare (circa 58.000 imprese attive), mentre l’ambito della commercializzazione è composto da: Commercio all’Ingrosso (circa 77.000 imprese attive), Commercio al Dettaglio (circa 180.000 imprese attive) e Servizi di Ristorazione (circa 285.000 imprese attive). “Il settore agricolo -sottolinea Andrea Venegoni-, rappresenta il 71% della filiera per numero di imprese, il 30%
per addetti e il 6,6% per fatturato. Un settore caratterizzato da una forte polverizzazione, presenza di microimprese, molto spesso marginali da un punto di vista produttivo e con potere di mercato molto ridotto”. La distribuzione del valore aggiunto nella filiera agroalimentare mostra delle peculiarità nazionali abbastanza definite. L’Italia, rispetto alla media Europea e ai due mercati di riferimento (Francia e Germania) mostra un maggior peso del settore primario, con produzione e distribuzione che, invece, contribuiscono per valori inferiori alla media europea. A fronte di un dato aggregato che evidenzia la rilevanza del settore primario all’interno della filiera, una volta calcolati i dati per singola impresa il quadro che emerge presenta la centralità del settore industriale e il ruolo importante della distribuzione e della ristorazione. Infatti, il valore aggiunto medio nell’Europa a 27 è di 25.000 euro nell’agricoltura, sale a 809.000 per l’industria, 253.000 euro nella distribuzione e 107.000 euro nella ristorazione. Considerando i principali Paesi europei (Germania, Spagna, Francia e Italia), il trend è sostanzialmente identico ma con valori assoluti differenti dove l’Italia registra un valore aggiunto medio nell’agricoltura di 32.000 euro, 527.000 nell’industria, 145.000 nella distribuzione e 84.000 euro per la ristorazione (Fonte: elaborazione su dati Eurosat - CEA ,FSS e SBS. Periodo 2019). “Nel triennio 2019-22 -sottolinea Venegoni-, il valore aggiunto per il settore primario è spinto dalla componente prezzo, mentre i volumi mostrano un calo evidente in tutto il triennio. Quadro opposto per l’industria: volumi in aumento ma compressione dei margini. Questo ci dice che il ‘peso’ della crisi è stato assorbito più dal settore della trasformazione che dal comparto agricolo”.
Nel periodo considerato (2019-22) la formazione del prezzo si è spostata sempre più a monte della filiera, a fronte degli shock e delle dinamiche di contesto. La filiera mostra flessibilità e capacità di adattamento, soprattutto nella «testa» (settore primario) e nella «coda» (distribuzione e vendita al dettaglio). Prendendo ad esempio il contributo alla formazione del prezzo finale lungo la filiera della pasta, notiamo che La granella all’origine contribuiva per quasi il 25% alla formazione del prezzo nel 2019, un peso salito a oltre il 41% nel 2022. La molitura è passata da poco sopra il 6% all’8%. La trasformazione dell’industria pastaia da quasi il 33% al 29% passando per un picco del 38,8% del 2021 e la Pasta di semola al dettaglio nel 2019 contribuiva per il 36% alla formazione del prezzo arrivando a un 21,6% del 2022 (Fonte: Ismea, Istat, Niq). “Volendo tracciare un quadro della filiera agroalimentare -conclude Venegoni-, emerge che a livello europeo la numerosità degli attori e la struttura concorrenziale della filiera agroalimentare sono molto eterogenee. La distribuzione del valore aggiunto è variabile nel tempo, soprattutto nei comparti a valle e a monte. In Italia la filiera si distingue per l’elevata numerosità delle imprese nel settore primario e per la loro polverizzazione e la fase di trasformazione, quindi il settore industriale, è, in media, quella in cui si concentra la parte preponderante del valore di filiera, oltre 2/3. In prospettiva bisogna monitorare l’evoluzione dei prezzi e soprattutto le capacità di ripresa delle micro e piccole imprese, sia nel primario che nell’industria”.
Due minuti con Giacomo Pedrazzini
“HonestFood -afferma Giacomo Pedrazzini, presidente di HonestFood e Ceo Kometa99-, nasce riflettendo sulle criticità della produzione del cibo dalla filiera agroalimentare, noi tutti che operiamo nell'agricoltura convenzionale, ormai un po' troppo industrializzata, ci siamo incastrati nell'imbuto dei volumi sempre più grandi da vendere a prezzi sempre più bassi: questa è una strada senza uscita. Dall'altra parte avanza il modello del biologico con tanti aspetti apprezzabili, ma ancora troppo costoso e troppo incerto, così abbiamo pensato che dovevamo trovare una via mediana fra i due estremi per portare cibo buono, cibo salubre, cioè che giovi alla salute dell'uomo, a un prezzo accessibile a tutti. Possiamo raggiungere questo obiettivo soltanto se tutti gli attori della filiera siano aperti al dialogo e al confronto e siano anche pronti a correggere tutti quei fattori che devono essere corretti”. Da parte dei consumatori, quando si parla di novità sorge sempre il sospetto che sia un pretesto per aumentare il prezzo. “Questo è un aspetto importantissimo”, sottolinea Pedrazzini. “Dobbiamo pagare di meno il cibo o dobbiamo pagare di più il lavoro? Io sono dell'idea che dobbiamo pagare di più il lavoro, perché il lavoro agricolo è stato svilito tanto quanto è stato svilito il cibo. E allora dobbiamo pagare di più il lavoro in modo tale che le famiglie possono permettersi cibo buono e salubre a un prezzo che sarà senz'altro un po' più alto di quello attuale. Si è parlato molto di inflazione, c'è stato un aumento dei prezzi in parte era inflazione, e spero che sia anche rientrata, ma in parte era un giusto riposizionamento del prezzo del cibo”. Essere un imprenditore della carne l'ha influenzata in qualche modo, le ha data qualche spunto? “Il settore delle carni è un po’ un osservato speciale, e forse con qualche ragione, perché noi trattiamo una materia prima sensibile che ha la sua origine da esseri viventi e oggi c'è una sensibilità diversa rispetto al passato su certi temi. Dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che nelle nostre società forse si è esagerato con il consumo di carne ed è giunto il momento di consumarne un po’ meno, magari di qualità migliore: dobbiamo farci carico di gestire gli animali in modo più attento. Sul fatto di essere indicati come un'industria inquinante, credo che lo diventiamo se esageriamo coi volumi e con l'intensità delle produzioni: bisogna ritrovare equilibrio e buon senso, ma voglio essere chiaro le soluzioni non sono nell'estremo contrario, non possiamo tornare all'agricoltura dei piccoli allevamenti. Come ho detto, serve ritrovare equilibrio e buon senso”.