Per la Cassazione non si può imporre il lavoro nelle festività infrasettimanali

Comunque la si pensi sul lavoro nelle festività infrasettimanali, la sentenza della Cassazione 16592 del 7 agosto 2015 è un punto di svolta nella giurisdizione del lavoro e non passerà inosservata. La sentenza, in forza dell’articolo 2 della legge 260/1949, ha annullato una sanzione disciplinare comminata da un’azienda per imporre al lavoratore di prestare servizio nelle festività infrasettimanali che celebrano ricorrenze civili o religiose. La legge a cui fa riferimento la Cassazione non può essere scavalcata neppure dagli accordi collettivi.
I giorni in cui il lavoratore ha diritto al riposo sono: primo gennaio, 6 gennaio, 25 aprile, lunedì di Pasqua, 1° maggio, Santi Pietro e Paolo a Roma, 2 giugno, 1° novembre, 8 dicembre, 25 e 26 dicembre.

La vicenda
Come riportato da Il sole 24 Ore, il pronunciamento della Cassazione arriva dopo la sentenza di primo grado del tribunale di Vercelli e dopo quella di appello del tribunale di Torino, tutte concordi nel riconoscere al lavoratore i diritti stabiliti dalla legge 260/1949. Il caso è relativo a una lavoratrice sanzionata a livello disciplinare dall’azienda di abbigliamento presso la quale lavora, per non aver prestato servizio nel giorno del 6 gennaio. La sanzione è revocata in forza del fatto che non può esistere una obbligatorietà stabilita da contratti collettivi, qualsiasi siano le clausole presenti, ma tale contrattazione è esclusivamente di pertinenza individuale.
Tale sentenza è quanto mai di attualità: basti ricordare che big player del retailing come Ikea da tempo sono in conflitto con la forza lavoro. Recentemente il gigante dell’arredamento low cost ha disdetto unilateralmente il contratto integrativo che regola il lavoro nei periodi di picco asserendo che, tali momenti, sono imprescindibili per la sostenibilità dell’attività alla luce dei mutamenti del mercato. In altre parole, se non si lavora alla festa si rischia la chiusura. Dopo due scioperi si è arrivati in questi giorni a una schiarita nel rapporto tra le parti dove l’azienda si dimostrava nuovamente disponibile a riaprire il dialogo.
Oggi la sentenza della Cassazione. Staremo a vedere.

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