Per i brand è tempo di rivedere la rappresentazione maschile

C'è una fetta di pubblico maschile la cui prospettiva è ancora poco rappresentata. Un'opportunità (anche economica) persa, secondo i dati Kantar

Sul sito di Denim, brand di prodotti per la cura maschile, è ancora presente la frase "per l'uomo che non deve chiedere mai", che divenne molto nota a partire dagli anni Ottanta, quando il marchio iniziò ad usarla in pubblicità. Uno slogan emblema di quella che oggi si definirebbe "mascolinità tossica", da intendere come un insieme di norme e comportamenti associati a un'interpretazione rigida e dannosa della mascolinità. Questi atteggiamenti associati alla tossicità sono quelli che promuovono tratti come l'aggressività, l'invulnerabilità, il dominio e la repressione delle emozioni considerate "deboli" o "femminili". Non bisogna dunque intendere questa definizione come il fatto che la mascolinità sia tossica di per sé, ma che alcuni aspetti culturalmente imposti ad essa associati sono dannosi per gli uomini stessi e per le persone che li circondano. Lo confermano anche i dati relativi all'aumento di disturbi alimentari e psicologici tra i giovani uomini, che soprattutto in alcuni contesti sociali faticano a trovare modelli di mascolinità positivi e a loro affini in cui identificarsi (non è solo per questo, ovviamente, il tema richiederebbe un articolo a parte).
In sintesi, potremmo parlare di mascolinità tossica come speculare opposto di tutto quello che è invece stereotipo della femminilità, oggi più dibattuto, ma che non si può smontare senza intervenire anche sul suo modello complementare. Interessante, in questo senso, l'esempio di Coop con il podcast sulla violenza di genere, che quest'anno dà però voce agli uomini, come nel caso degli orfani speciali.

Il ruolo della comunicazione di marca nella definizione del maschile

Ecco, allora, che con l'esempio di Coop si passa al ruolo che in tutto questo ricoprono pubblicità e rappresentazioni di marca. Una delle classiche domande della pubblicità è: quanto deve seguire e quanto deve invece favorire, agendo dunque con almeno parziale anticipo, i cambiamenti culturali e sociali? La risposta è, ovviamente, che la comunicazione dei brand può fare tanto per promuovere nuovi modelli di mascolinità, ma quanto gli convenga farlo varia anche in base al tipo di marchio, target e posizionamento. Una buona risposta per tutti, in ogni caso, è la storica (o stoica, se pensiamo al suo fautore Seneca) via di mezzo: arrivare appena in anticipo, ma non troppo. Un equilibrio che forse sintetizza meglio la guida 2025 per i brand di NielsenIQ, quando suggerisce: "Agisci prima che lo chiedano, ma non prima che siano pronti". E in tema di nuova rappresentazione della mascolinità un'importante fetta della società è pronta e tuttavia ancora inascoltata: lo conferma uno studio ad hoc di Kantar.
Nel report 2024 "Connecting with men: How brands can decode modern masculinity", emerge come marche e i pubblicitari debbano ripensare il modo in cui coinvolgono un pubblico maschile in evoluzione per non perdere un ampio potenziale di mercato (al netto, dunque, di aspetti etico-morali). Secondo lo studio Kantar, infatti, le pubblicità che ottengono un punteggio elevato nel "Male Gender Unstereotype Metric", che rileva se le rappresentazioni degli uomini danno un buon esempio agli altri, ottengono risultati nettamente migliori delle pubblicità che non lo fanno: sono 37 punti percentuali più alte nella costruzione dell'equity di marca e 21 punti percentuali più alte in riferimento alla probabilità di generare vendite nel breve termine.
"Che si tratti di mostrare uomini come caregiver, partner emotivamente consapevoli o individui auto-riflessivi, le marche che evolvono seguendo queste direzioni possono avere un impatto sulla società e sui risultati economici, poiché i clienti si rivedono più facilmente in queste dimensioni generando una connessione più significativa", sottolinea Stéphanie Leix, head of media and creative in Kantar.
I risultati ci dicono poi che la rappresentazione della mascolinità è intersezionale: più del doppio degli uomini Lgbtqia+ si sente rappresentato negativamente dalla pubblicità (20%) rispetto agli uomini non Lgbtqia+ (8%). Il 30% degli uomini con disabilità cognitive o di apprendimento si sente mal rappresentato, insieme al 20% degli uomini con problemi di salute mentale e al 16% degli uomini con qualsiasi disabilità. Due terzi degli uomini nelle pubblicità hanno meno di 40 anni, il che, in una società che è invece sempre più senior, è doppiamente sintomo di sotto-rappresentazione.
Le marche che continuano a trascurare le prospettive degli uomini nelle categorie "tradizionalmente di genere", rischiano infine di perdere opportunità di mercato. Qualche esempio e dato a ulteriore riprova:

Prodotti per bambini: solo il 24% delle pubblicità di prodotti per bambini è testato includendo anche il target maschile: un'opportunità mancata per coinvolgere il crescente pubblico di padri attivamente coinvolti nella cura dei bambini. Al contrario, ad esempio più pubblicità di prodotti per animali domestici vengono testate su entrambi i generi (95%) rispetto a quelle per cura e alimenti per bambini.
Prodotti per la casa: mentre gli uomini stanno assumendo più responsabilità in casa – specialmente vivendo maggiormente da soli – l'industria pubblicitaria non sta tenendo il passo. Solo il 15% dei test pubblicitari sulla cura della casa cerca feedback da un target maschile. Le pubblicità che invece rappresentano gli uomini come decisori attivi nella vita domestica sono in grado di generare un coinvolgimento maggiore.
• Cura personale: Mentre le aspettative sociali sulla mascolinità evolvono, gli uomini stanno diventando più coinvolti nella cura di sé. Tuttavia, nonostante il 40% degli uomini utilizzi prodotti per la cura della pelle, il 91% dei test creativi si concentra solo sulle donne. I brand devono ripensare il modo in cui si rivolgono agli uomini, concentrandosi maggiormente sul benessere emotivo e sulla cura di sé.

Per tornare al quesito iniziale, dunque, sul fronte della rappresentazione maschile la pubblicità non sta mantenendo il giusto livello di aggiornamento e risulta ancorata a una realtà che, per quanto ancora veritiera, non è la più contemporanea e la migliore da selezionare anche in senso economico, non solo di contributo culturale. Non vale ovviamente per tutti, gli esempi virtuosi sono tanti: ne scegliamo uno attingendo spontaneamente al nostro "palazzo della memoria", a riprova di come certi spot si ricordino più facilmente grazie a date caratteristiche. Non si tratta di uno spot altisonante o particolarmente disruptive, ma di un caso meritevole di citazione proprio per la sua capacità di normalizzazione della realtà migliore e di equilibrio tra elementi di tradizione e modernità. Stiamo parlando della pubblicità che Vodafone ha lanciato nel 2024 per promuovere il Wi-fi "che arriva in ogni angolo di casa" (immagine in apertura, video sotto) e che vede un padre e un amico intenti a guardare la partita di calcio a casa del primo (elemento tradizionale) mentre cercano di far addormentare il neonato vagando da una stanza all'altra (elemento contemporaneo). Il tutto senza cadere negli estremi opposti, e ugualmente stereotipanti, dell'uomo che "non ce la può fare senza la compagna" o che, al contrario, "è un vero eroe perché fa semplicemente il padre". Appunto: normalizzazione di ciò che per una fetta della società è già normale da tempo e che, grazie a questo tipo di rappresentazioni, è ulteriormente promossa.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome