Un uomo senza paura, il Cavaliere Patrizio Podini, patron di MD, un combattente nato, che non si pone limiti ... neanche di velocità
Incontriamo il Cavaliere Patrizio Podini nella sede logistica di MD a Trezzo sull’Adda (Bg). Podini è uno degli uomini storici della distribuzione italiana: l’ufficio è spazioso e semplice, mi mostra orgogliosamente la foto della sua ultima Ferrari. Una passione coltivata negli anni, Podini è un ferrarista convinto, e di strada ne ha fatta tanta sia in chilometri sia nella sua lunga carriera imprenditoriale, ma vediamo come tutto è iniziato. “Nel 1957, lavoravo già nell’azienda di famiglia che, all’epoca, aveva un magazzino all’ingrosso di prodotti alimentari, subito dopo l’arrivo mio e di mio fratello ci siamo buttati nel settore della distribuzione moderna, con i supermercati e i cash&carry, in Alto Adige. Sono nato a Bolzano, penultimo di 9 fratelli, mentre i miei genitori erano di un paesino vicino a Lodi. Prima della Prima Guerra Mondiale, avevano un caseificio nel lodigiano: tre dei fratelli andarono al Fronte e il caseificio rimase chiuso, perché le donne non potevano prendere in mano un’attività di questo tipo. Tutti e tre vennero fatti prigionieri dagli austriaci, finendo in un campo di concentramento; una volta liberati, scesero con un treno verso il Brennero per andare a Milano, ma lungo il viaggio si fermarono a Bolzano, se ne innamorarono e così avviarono un’attività all’ingrosso lì, in quella cittadina appena entrata a far parte dell’Italia, producendo robiola, gorgonzola, Grana, Parmigiano Reggiano, prodotti che a Bolzano non erano conosciuti. Andò avanti così fino a metà degli anni 50: fu allora che arrivarono i giovani, tra cui anch’io; prendemmo in mano l’azienda e iniziammo con i primi supermercati. Nel tempo ci associammo a quello che oggi è il Gruppo Selex, di cui sono stato presidente per tre mandati. Tutti i nostri supermercati, anche quelli più grandi, avevano il marchio A&O.
Come è arrivato a MD?
Nel 1992 ho venduto ad Aspiag (Despar). Venduta l’azienda, sono rimasto in bilico un annetto circa, indeciso su cosa fare, e ho scoperto (come se già non lo avessi saputo) che stare senza fare niente non era nelle mie corde. Così ho pensato di aprire al Sud, dove non c’erano discount. Avevo già una società con il Gruppo Mida di Napoli e con loro abbiamo fondato MD, ovvero Mida Discount. All’epoca, in Italia, erano un centinaio le catene discount, non erano tempi molto felici e i soci del meridione si ritirarono perché non credevano abbastanza in questa formula; da quel momento, quindi, ho dato un imprinting molto più potente, forte e aggressivo di quello precedente: si sa, quando si è in due, le decisioni non sono immediate, mentre da solo è stato più semplice e poi il rischio era tutto mio. Siamo andati avanti fino alla crisi del 2008, quando, in una convention a Roma, con circa 500 persone, dipendenti, collaboratori e qualche partner, dissi che era arrivato il momento di cambiare, di non aver paura: bisognava investire. E questo è avvenuto. Le altre insegne nel frattempo si erano fermate: tutti preferivano stare a vedere come sarebbero andate le cose; alcuni lasciavano, così io in quegli anni ho avuto la possibilità di raccogliere ciò che altri avevano abbandonato sul terreno. Quindi è venuta l’opportunità di comprare LD Market da Lombardini, una trattativa lunga e complessa, ma, una volta andata a buon fine la transazione, abbiamo unito le due aziende: inizialmente ciascuna è rimasta con i propri marchi, ma dopo due anni abbiamo iniziato a trasformare tutti i negozi LD in MD.
In circa un anno e mezzo, abbiamo messo insieme tutti i marchi, determinato le politiche commerciali, la selezione dei dipendenti. Sono fiero di affermare che pressoché tutte le persone che erano presenti a Dalmine nella struttura di Lombardini sono rimaste con noi.
Lei ha l’aria di un uomo che ha fiuto per gli affari: così ci si nasce o si diventa?
È difficile dirlo, un po’ di fiuto sicuramente c’è, ma sono uno cui piace capire le cose e solo quando le ho “spolpate”, dico sì, qui rimane qualcosa, si può fare e devo dire che nella mia vita non ho mai fatto grandi errori. Di me posso dire che non ho mai avuto paura del cambiamento, ho sempre intrapreso cose nuove, ho sempre cercato di cogliere al balzo le opportunità che nascevano. Per esempio, prendiamo questo deposito (a Trezzo d’Adda, ndr), che ci va ormai stretto: quando ho cominciato a cercare un sito, ho valutato la mobilità della Lombardia e ho scelto di andare sulla BreBeMi, una scelta vincente, confortata dal fatto che oggi è un susseguirsi di aziende che fanno attività logistiche e di distribuzione; tanto vero che sono arrivati anche i big come Amazon e Italtrans.
Del resto, l’area intorno alla BreBeMi è ormai il territorio vocato per la distribuzione di merce dei prossimi anni.
Siete presenti da Nord a Sud: differenze? Difficoltà?
Nella fase degli acquisti non cambia niente: si hanno gli stessi rapporti con l’industria di produzione. Invece, vendere al pubblico i prodotti alimentari con il self service, è stato forse un po’ più complicato, almeno all’inizio, ma ora le cose si sono pareggiate: quello che facciamo nei negozi a Monza è lo stesso anche a Reggio Calabria. Sulle difficoltà del Sud, posso dirle, numeri alla mano, che in questo momento il Sud sta andando meglio del Nord, che oggi soffre per il rallentamento dell’economia tedesca. Le crisi partono dal Nord e lentamente scendono a Sud: questo, in passato, avveniva nell’arco di un anno, un anno e mezzo. Ora la Lombardia è in crisi. Presumo che, se andrà avanti, pian piano arriverà anche al Sud.
Quanti negozi avete?
Abbiamo 780 punti di vendita, due mesi fa circa, abbiamo aperto 21 punti di vendita in Sicilia, frutto di un’asta vinta al tribunale di Catania relativa al Gruppo Abate. In un mese e mezzo, li abbiamo ristrutturati tutti e abbiamo aperto quasi un negozio al giorno: in 31 giorni, 21 negozi. Abbiamo investito quello che c’era da investire nell’acquisto all’asta, più le spese per ristrutturare: parliamo di circa 650 mila euro per negozio, per un totale di 12 milioni.
Dopo 50 anni passati nel retail, ai giovani che vogliono lavorare in questo mercato cosa suggerirebbe?
Penso che oggi partire da zero per creare un’azienda retail sia molto difficile, perché servono risorse economiche ingenti. Diverso è ciò che potrebbe fare chi eredita un’azienda, se volesse dare la svolta. Intanto, chiunque deve sapere che è un lavoro che impegna giorno e notte.
Prima di poter dire di aver fatto qualcosa devono passare 15-20 anni. Importante è anche avere il piacere di ciò che si fa: si deve essere contenti di andare nella propria azienda, essere sommersi dai problemi e cercare di risolverli, magari non tutti oggi ... ma domani sì.
Il mercato purtroppo si muove velocemente. Non dobbiamo dimenticare l’eCommerce: noi lo stiamo facendo con i prodotti non food, ottenendo buoni risultati. Spediamo tramite i nostri negozi, direttamente con corrieri, e facciamo svariati milioni di fatturato con televisori, elettrodomestici, bianco. Oggi, il settore prettamente alimentare non è ancora coinvolto, ma lo sarà e, in 15 anni, sono convinto che l’eCommerce per gli alimentari avrà una quota del 15%.
Vuol dire che il mercato si ridurrà di circa il 15% e quindi ci sarà una fetta di torta ancora più piccola da dividere fra i retailer rimasti.
Cosa succederà nel prossimo futuro nel retail e nella sua azienda?
L’uscita di Auchan dall’Italia ha sicuramente dato uno scossone al mercato; vedremo che cosa farà Carrefour. È evidente che oggi noi discounter -Eurospin, Lidl, Aldi- siamo in una fase di espansione: ciò significa che, per i prossimi 3-4 anni, ci saranno circa 200 aperture all’anno; noi siamo intorno a 30-35.
Nessuno sta fermo.
Tutte queste aperture creano e creeranno uno scompenso per chi è già presente in un certo raggio d’azione.
È una guerra di nervi e bisogna avere la forza, il coraggio e la capacità di resistere. Ancora in questi giorni, ho detto che dobbiamo aumentare il target delle aperture dei negozi: se riusciamo a farne 40, facciamoli! Per riuscire a centrare questi obiettivi, i volumi sono un elemento basilare: se li hai, ti puoi permettere questo e altro.
Il punto di vendita come cambierà?
Noi puntiamo al servizio al consumatore, il banco servito serve per dare al cliente un supporto, per togliere freddezza. Arriveremo anche alle casse automatiche, poi dopo un po’ di anni ci potrà essere una riconversione, qualcuno vorrà di nuovo una persona alla cassa.
Bisognerà avere la forza di creare un ambiente piacevole, che dovrà dare qualche servizio in più di quello che dà oggi, per tenersi vicine le persone.
Ma lei andrà mai in pensione?
Ho troppo da fare e poi ho da combattere con quelle macchine (le Ferrari, ndr)! Metterle in moto ogni due mesi è una fatica. Adesso bisogna vendere qualcosa, fare posto.