Cambiano i mercati di consumo e importazione di prodotti ortofrutticoli, i competitor diventano sempre più agguerriti e le imprese italiane soffrono per mantenere inalterate le proprie quote di mercato. E si aggiungono sempre più spesso le bizze del clima. Ecco perché un’organizzazione dell’offerta più efficace (produttiva e commerciale), un miglior accesso al credito (per lo sviluppo degli investimenti) e l’implementazione di nuovi strumenti a tutela del reddito rappresentano tre punti cardine di una possibile strategia di rilancio per la competitività del settore. È questo il significato del Secondo Rapporto Nomisma – Unaproa sulla Competitività del Settore Ortofrutticolo Nazionale, uno studio che fotografa lo stato dell’arte del settore, tra criticità, punti di forza e spunti per rilanciare la competitività, presentato a Roma alla presenza, tra gli altri, di Andrea Olivero – vice ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali - di Paolo De Castro - coordinatore S&D Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo – e di Leonardo Di Gioia, assessore all’agricoltura per la Regione Puglia.
“Come dimostrato dallo studio - ha dichiarato il vice ministro Andrea Olivero - l’aggregazione e l’integrazione di filiera sono leve indispensabili per il rafforzamento della competitività dell’ortofrutta italiana, comparto fondamentale della nostra agricoltura per valori strutturali, economici e occupazionali. Nello scenario attuale – ha argomentato Olivero - occorre mettere a sistema azioni coerenti e di ampio respiro; la recente assegnazione di 200 milioni di euro per i contratti di filiera e di distretto si muove proprio in questa direzione e affianca gli strumenti volti a favorire la semplificazione, l’accesso al credito e l’internazionalizzazione. Lo sforzo corale è quello di puntare alla responsabilità della filiera nel suo complesso – dalla produzione alla distribuzione, al fine di assicurare la giusta redditività, tutelare il consumatore e promuovere la cultura della legalità”.
Secondo i dati del Rapporto, nell’ultimo decennio, sul commercio mondiale di ortofrutta fresca (pari a 156 miliardi di dollari), la quota dell’Italia è scesa dal 5,1% al 3,6% mentre rispetto all’export di ortofrutta trasformata (56 miliardi di dollari), il peso dei nostri prodotti è diminuito dal 7,7% al 6,5%. Il settore ortofrutta, con 8 miliardi di euro, rappresenta la prima voce di export dell’agroalimentare italiano (fresca e trasformata), e vale 12 miliardi di euro di valore alla produzione agricola e coinvolge un agricoltore su 3 nel panorama produttivo nazionale. “Complice la concorrenza di grandi player come Stati Uniti (la cui quota è aumentata per entrambe le tipologie di prodotti) e Cina (passata dal 5,2% all’8,6% nel fresco e dal 9,5% al 13% nel trasformato), l’arena mondiale – spiegano i ricercatori – ha visto l’ingresso di competitor emergenti, in grado di conquistarsi repentinamente un posto al sole. Ad esempio il Perù nel commercio mondiale di uva da tavola è passato nell’ultimo decennio dall’1% al 7% di quota all’export o l’Iran nel kiwi (da 0% a 5%), o ancora dell’Egitto negli agrumi (da 2% a 9%), la Georgia nelle nocciole (da 0% a 9%). Ci sono poi alcuni paesi che, grazie all’embargo russo, sono riusciti a sostituirsi ai fornitori europei arrivando a detenere un ruolo rilevante come trader, alla stregua dei più noti olandesi. È questo il caso della Bielorussia che oggi pesa per il 5% sul commercio mondiale di mele (dieci anni fa non compariva tra gli esportatori), grazie ad un export di oltre 500.000 tonnellate verso la Russia (a fronte di una produzione interna di circa 300 mila)”. Fortunatamente si aprono anche nuove frontiere. E se è vero che la Cina è diventato un competitor agguerrito, è anche vero che il mercato cinese nel 2015 ha importato qualcosa come 8,6 miliardi di dollari di ortofrutta fresca, il 631% in più rispetto a dieci anni prima. “Di questa apertura ne hanno beneficiato anche le nostre imprese - sottolinea Denis Pantini direttore area Agricoltura e Industria Alimentare di Nomisma. Oggi la Cina, con una quota del 5%, rappresenta il quinto mercato di esportazione del nostro kiwi, dopo Germania, Spagna, Francia e Stati Uniti, evidenziando come per le nostre produzioni a più lunga conservazione (kiwi appunto ma anche mele), il mercato d’oltremare sia quello con le prospettive di crescita più rilevanti.”