Nel paradigma del Retail 4.0 si concentrano diversi format di vendita che sfruttano il mondo fisico e virtuale in varie modalità. Perché tale modello possa riuscire deve, però essere assicurata un’armonia “frictionless” tra le parti grazie a soluzioni ibride e ipercoinvolgenti. Le contaminazioni tra i due mondi – analogico e digitale – hanno come risultante una serie di touchpoint con il consumatore: preziosi punti di contatto dai quali i retailer possono ricevere moltissimi input e dalla cui presenza si sono sviluppati approcci definiti quali cross-canalità, multicanalità (multiple touchpoint approach), o omnicanalità che dire si voglia. Se la strategicità e le potenzialità connesse all’omnicanale sono chiare e visibili a molti (consumatori compresi!), nella pratica ci sono diverse realtà di business non in grado di “sfruttare” al meglio quanto in gioco. Anche perché la trasformazione omnicanale presuppone la progettazione di una chiara data strategy, quale pietra angolare di un dialogo coerente e personalizzato con la propria customer base.
Cinque cluster
Insight quantitativi sul tema arrivano dalla sesta edizione dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience (OCX), promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano. Dal campione analizzato risulta come la maggioranza delle realtà si focalizza ancora esclusivamente su dati basici (come l’anagrafica o lo storico d’acquisto), mentre solo un gruppo ristretto (33%) gestisce dati più complessi in grado di abilitare una conoscenza più completa del cliente (come quelli provenienti da canali social, comportamentali o legati a feedback rilasciati). Nello specifico, riproponendo quanto esaminato dall’Osservatorio suddetto, in termini generali, dall’approccio delle aziende all’omnicanalità si possono individuare cinque cluster che descrivono gli stadi del percorso di evoluzione e la maturità in tale ambito.
Oltre un’azienda su cinque (22%) del campione esaminato risulta ancora ai primi passi: in questo cluster rientrano i player che hanno appena avviato il loro percorso verso la creazione di una omnichannel company e che mostrano, quindi, un approccio poco sviluppato rispetto a tutte le dimensioni di strategia, organizzazione, dati, tecnologie, execution. Il gruppo più numeroso è quello delle aziende “Consapevoli”, che rappresenta il 39% del campione. Questo cluster è popolato da aziende con una discreta evoluzione strategico-organizzativa, ma che presentano ancora alcune carenze in ambito di data strategy, tecnologia ed execution. A metà del raggruppamento si trovano le aziende “Intraprendenti” (13%, realtà organizzate sull’omnicanalità ma mancanti dialcuni elementi essenziali come un budget o un responsabile dedicato) e le “Strutturate” (20%, con buoni livelli su tutte le dimensioni analizzate ma con margini di miglioramento nel processo di raccolta e gestione dei dati sui clienti e in fase di Execution legata ai processi di gestione del cliente). Solo il 6% dei soggetti mappati, infine, rientra nel novero delle aziende “Avanzate”, cioè realmente mature in ambito omnicanale. Queste realtà, che hanno lavorato complessivamente su tutte le variabili, possiedono modelli organizzativi e ruoli ben definiti, una cultura e iniziative omnicanali e data-driven diffuse, nonché un approccio evoluto alla misurazione degli impatti di tale strategia sul business aziendale.
Aspettative disattese
Il rischio dietro uno scenario fatto di player economici di questo tipo (in un contesto macroeconomico caratterizzato dall’incertezza e dalla velocità) è quello di perdere di vista le esigenze dei consumatori, che sono più consapevoli che mai del “potere” delle loro scelte d’acquisto e delle logiche sottostanti. È in un certo senso il cliente in prima persona che chiede a gran voce di essere ascoltato e si aspetta di vivere delle esperienze sempre più fluide, personalizzate, coerenti e sinergiche. E questo anche a fronte di un malcontento rispetto a quanto sanno possibile avere: sempre secondo i dati OCX, circa il 60% delle esperienze che coinvolgono più di un canale (fisico e digitale) non soddisfa queste aspettative, tanto che i consumatori giudicano queste esperienze come non pienamente “sinfoniche”, ossia non possiedono almeno una delle caratteristiche di fluidità, coerenza, personalizzazione e sinergia. Al contrario, la messa a terra di una strategia omnicanale è apprezzata e valorizzata: il 98% degli utenti Internet che ha vissuto esperienze interamente omnicanale, infatti, si dichiara pienamente soddisfatto. In concreto, per lavorare in questa direzione è possibile sfruttare l'elevata propensione del consumatore online a condividere proprie informazioni a fronte di un vantaggio (87% dei casi). Infatti, solo il 13% degli utenti internet si dichiara sempre contrario alla condivisione del dato (il 10% delle nuove generazioni, circa 20% dei baby boomers), la restante parte lo farebbe a fronte di un pagamento o vantaggio economico (40%), meno pubblicità (26%), assistenza più celere (26%), accesso a servizi o contenuti di valore (25%).
La raccolta di informazioni, tuttavia, diventerebbe funzionale solo a fronte di una integrazione in logica di Single Customer View. Ciò vuol dire che, una volta raccolti e integrati i dati, la loro valorizzazione passa dalla capacità di analizzarli ed estrarne insight da “dare in pasto” alle funzioni che interagiscono con il cliente (marketing, vendite, customer care) al fine di avere analisi predittive, prescrittive, profilazione, ottimizzazioni di servizi quali il customer care e tanto altro.
Appare chiaro quanto la tecnologia sia strumentale a tutto ciò. Le tecnologie oggi adottate dalle aziende riflettono la situazione di luci e ombre finora descritta. Lagran parte delle realtà utilizza ancora tool basici come fogli di calcolo e CRM tradizionali, e solo alcune (27%) hanno adottato strumenti evoluti come la Customer Data Platform, in grado di garantire una piena integrazione dei dati e di fornire una vista unica sul cliente. Per di più manca anche lo slancio al ricorso alla tecnologia in ottica di sperimentazione: poiché le continue evoluzioni del comportamento del consumatore e delle tecnologie obbligano i retailer ad approcci “failing fast”, ovvero a piccole implementazioni, perlopiù ricreati in aeree pilota (fisiche o digitali), finalizzate a capire se la tecnologia funziona ed è apprezzata dai clienti oppure no. “La trasformazione omnicanale è pervasiva e coinvolge l’intera organizzazione. Come in un’orchestra, tutte le funzioni e i processi aziendali (dal Marketing alla Logistica, dalla Produzione alle Vendite) devono suonare all’unisono, avendo come obiettivo il miglioramento dell’esperienza del cliente. Ciò richiede un forte commitment del vertice aziendale e, nella maggior parte dei casi, una profonda trasformazione organizzativa”, chiosa Nicola Spiller, direttore dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience. Il tutto anche a fronte di un consumatore “prosumer” che lo richiede a gran voce e non può essere ignorato.