Nel retail la sfida per l’Hr è attrarre e trattenere talenti

Nel retail come in altri comparti, la forza lavoro esprime nuove esigenze e pone le aziende nella necessità di rivedere l’organizzazione. Una ricerca di Ipsos mette in evidenza le sfide presenti e future. (Da Mark Up 335)

Presentato ad un evento organizzato da Retail Institute con la presenza di Aidp, la ricerca “Retail Hr Outlook: Le Sfide di Talent Attraction & Retention”, realizzata tra settembre e ottobre del 2024, è un’aggiornata fotografia sulla situazione attuale della dimensione occupazionale nel retail che ha indagato le attese delle aziende sul futuro del lavoro. A questo si aggiungono le sfide e le opportunità prefigurate dalle aziende per attrarre e trattenere i talenti, la percezione del fenomeno great resignation e le prospettive di evoluzione del mercato del lavoro stesso. Sono stati indagati i settori di industria, commercio e servizi nel contesto attuale.

Cambiamenti in corso

Oggi gli Hr manager sono chiamati a un difficile lavoro di attraction e retention nel mondo retail che deve fare in conti con diversi fattori di criticità. Basse remunerazioni, scarsissima flessibilità, l’avvento di nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale che cambierà anche i paradigmi di gestione. La ricerca di Ipsos mette in evidenza un sentire trasversale tra industria, retail e servizi: accanto ai temi elencati sopra, si aggiunge la necessità di sviluppare modelli di leadership più efficaci di quanto siano stati finora. E questo passa necessariamente per l’acquisizione di competenze nuove. Così se la sfida della gestione complessiva delle risorse umane è per le aziende il cardine di sviluppo, per gli Hr manager diventa fondamentale acquisire nuove competenze proprio per raggiungere una dimensione di leadership al passo coi tempi. È interessante sottolineare come i retailer siano abbastanza consapevoli di questa criticità, ritenendo che oltre il 40% degli Hr manager siano non capaci o comunque poco capaci di raggiungere i livelli di competenza necessari. Si tratta di un’evidenza non da poco soprattutto se accostata alla convinzione che spesso manchi una guida forte in grado di prendere scelte anche impopolari nel breve periodo ma che possano portare benefici nel lungo. Ma non solo. Ai manager è chiesto di comprendere dei nuovi approcci rispetto al lavoro dei giovani talenti. Secondo Ipsos, come elementi di attraction incidono sicuramente le condizioni contrattuali ed eventualmente pacchetti di welfare più legati alla flessibilità. Ma è sempre secondaria rispetto al salario ed alla reputazione dell’azienda. Secondo la ricerca Ipsos, oltre il dettaglio offerto delle diverse rilevazioni, emerge che il retail è un settore dalla scarsa attrattività per il capitale umano e questo si accompagna a una costante riduzione delle marginalità dei punti di vendita. Una prima evidenza è che tutte le aziende hanno difficoltà ad attrarre talenti, in particolare giovani gen z con meno di 5 anni di esperienza. Ma quali contromisure adottare? Secondo la ricerca Ipsos è necessario attuare nuove strategie di engagement e retention: promuovere politiche di lavoro flessibili, benefit e percorsi di carriera personalizzati in modo che un giovane che entra in azienda abbia una prospettiva di crescita e un percorso di carriera il più possibile definito. Infine rafforzare il middle management creando un ambiente di lavoro coeso e collaborativo.

Un aiuto da formazione e tecnologia

La sfida attuale per il retail è attrarre talenti e mantenerli in uno scenario di scarsità. Mark Up ha incontrato Andrea Alemanno, ricercatore di Ipsos.

Andrea Alemanno - Board member di Ipsos

Oggi la gestione delle risorse umane è complessa. Quali riflessioni si possono condividere anche in termini di indicazioni?
Si dovrebbe partire da una grande consapevolezza delle dinamiche in atto nel mondo del lavoro e nel retail. Prendiamo in considerazione le questioni dell’attraction e del retention: si tratta di ambiti operativi e strategici che generano impatti sovrapposti, ma sono elementi diversi e richiedono approcci specifici e adeguati ai tempi che stiamo vivendo. Spesso nelle aziende troviamo manager chiamati a gestire l’ambito delle risorse umane con delle competenze apprese in epoche molto lontane da quella che viviamo: il mondo dove si sono formati non esiste (quasi) più. Quindi la prima domanda che le aziende devono porsi è se dispongono delle persone adeguate con le competenze oggi necessarie nel management delle risorse umane. Una seconda domanda da porsi è quali nuove competenze occorra sviluppare, sia per i manager delle risorse umane, sia per tutti gli altri.

Flessibilità e retail sembrano in antitesi. Nel punto di vendita non si può fare smart working. La tecnologia può aiutare?
Assolutamente sì, può aiutare molto ma forse oggi non se ne coglie il vero potenziale. Il problema, alla fine, è sempre lo stesso: se la base della forza lavoro che entra in azienda è giovane e molto formata tecnologicamente, ma il management che la gestisce non ha competenze di questo tipo, allora la gestione non può essere soddisfacente. Chi ha funzioni organizzative deve avere una buona preparazione nell’utilizzo delle tecnologie soprattutto perché è necessaria una vision che permetta di interpretarle ed usarle in modo innovativo: è sbagliato pensare che la tecnologia ci consenta solo di realizzare meglio ciò che facciamo oggi. Prendiamo in considerazione l’intelligenza artificiale. Potrebbe essere uno strumento in grado di dare una svolta in termini di gestione, perché consente al manager di comprendere momenti e situazioni della singola persona, indirizzandola al meglio. Da questo punto di vista il retail ha delle caratteristiche che potrebbe sfruttarla in modo ampio perché strutturalmente alterna momenti ad alta intensità e momenti meno intensi, nei quali magari offrire in modo dinamico più flessibilità negli orari e rispetto ad altre esigenze.

Dal suo punto di vista, non è forse la questione salariale il motore di questo grande cambiamento?
È un problema estremamente rilevante, ma va oltre il retail. Coinvolge tutto l’Occidente e l’Italia è il Paese che sta peggio, sostanzialmente fermo da 30 anni. Tornando al retail, abbiamo un settore in cui i percorsi di carriera non sono molto delineati, e questo è penalizzante. Le persone guadagnano poco e continuano a guadagnare poco nel tempo, o almeno è questo che si attendono. La questione salariale non si può mitigare all’infinito con qualche benefit, si può solo affrontare aumentando i compensi e per far questo è necessario produrre a margini più elevati. Ma questo richiede un’organizzazione migliore, un uso della tecnologia che aumenti la produttività e competenze adeguate. Ecco che torniamo al discorso iniziale: un management che si è formato in un’altra epoca può non comprendere appieno la sfida, e non riuscire a guidare la trasformazione.

Però la questione occupazionale non coinvolge solo le giovani generazioni…
Appunto. Si pensa troppo spesso di avere a disposizione indefinitamente una forza lavoro giovane che lavori 8-10 ore, pagabile relativamente poco. Dobbiamo pensare che in pochi anni avremo una forza lavoro che avrà un’età molto più matura: se osserviamo la curva dei giovani in età scolare e la proiettiamo a 10 anni, il loro numero si ridurrà molto. Un calo che può essere compensato con l’utilizzo di forza lavoro derivante da processi migratori oppure, o in aggiunta, con persone di 50 anni e più che però non potranno tenere i ritmi pretesi oggi ai giovani. Anche per questo l’organizzazione dovrà essere ripensata perché i lavoratori saranno più anziani, lavoreranno meno e tra qualche anno questo sarà un tema molto rilevante.

Perché in termini di attraction sui giovani, manca il magnete dei temi green?
Ci sono diverse spiegazioni. Il primo è perché il tema non è più nell’agenda come qualche tempo fa. Secondo me è un po’ un falso mito che i giovani fossero più sensibili ai temi green. In realtà lo si è pensato perché c’era una parte di essi molto attiva e attivista che in qualche modo ha cercato di farsi sentire, nel disinteresse generale. Dei giovani era la parte più colta, più evoluta, più istruita: attenzione, quella che può e potrà scegliere. In realtà c’è una grossa parte del mondo giovanile che è molto disillusa e un po’ passiva perché non gli abbiamo trasmesso un’idea che ci possa essere un futuro. Ovviamente dovremmo farci un po’ un esame di coscienza. Quindi il tema della sostenibilità merita attenzione ma non è chiave di lettura principale, lo diviene quando andiamo sui talenti ad alto potenziale.

Sull’attraction, quale fattore può incidere oltre quello salariale?
Secondo me, un fattore un po’ sottotraccia a cui non si dà il giusto peso, è la formazione all’interno dell’azienda. Questo è un elemento di attraction e aziende particolarmente evolute, a partire dalla fase di colloquio, lo mettono bene in evidenza. Perché in questo mondo indefinito, il fatto che la persona candidata potrà avere una formazione, trasferisce l’idea di acquisire più strumenti per riuscire a cavarsela meglio. Ma attenzione a proporre una formazione che non appaia chiusa sulle specifiche esigenze dell’azienda, ma che sia di ampio respiro, testimoni dell’investimento dell’azienda sulla persona, e delle opportunità che quel tipo di percorso possa offrire.


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