Mai come in questi tempi, smartphone e social alla mano, tutti esprimono opinioni su tutto e ogni occasione di polemica si coglie al balzo per liberare frustrazioni personali, rancore sociale e, laddove utile, fare sciacallaggio. Un contesto di post-verità dove la bontà dell'argomentazione e la coerenza del ragionamento non sono bussola ma mero accessorio, dove l'onestà intellettuale è sostituita dalla strenua ricerca di conferma. Una deriva che dà vita ad aberrazioni come la cancel culture e dove si spreca ingenuamente uguale indignazione per tutto, fraintendendo codici e registri: dallo spot con la "fatina schiacciata" alla repressione delle proteste in Iran, dal dibattito sulle cariche al femminile ai Mondiali di calcio 2022 in Qatar. Proprio quest'ultimo caso, in linea con le osservazioni di cui sopra, mostra in modo emblematico quanto il tema della sponsorizzazione di eventi e, in generale, della comunicazione di marca, sia oggi più delicato che mai.
I Mondiali di calcio in Qatar sono probabilmente quelli più "caldi" di sempre per quanto riguarda il dibattito pubblico, complice la situazione globale e l'occhio di bue puntato sulla dicotomia tra democrazie occidentali e regimi di diverso stampo. I brand, soprattutto quelli legati da tradizione allo sport, finiscono così per trovarsi su un terreno minato. In un Paese dove, per quella che è la nostra cultura, non sono infatti garantiti i basilari diritti umani, come deve agire un marchio a fronte di un'esposizione internazionale? Qual è il suo ruolo? Come può orientarsi e prendere decisioni in modo corretto? Sono domande che, peraltro, la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, e la relativa questione del gas, hanno portato anche al più alto livello dei rapporti commerciali tra Paesi. Domande che non si possono risolvere in un solo articolo, ma che hanno per lo meno una risposta comune: la necessità di non agire su spinta emotiva, ma di attuare un'analisi sistemica e sistematica del proprio posizionamento come marca e azienda all'insegna della coerenza. Una campagna pubblicitaria o una sponsorizzazione sono infatti solo uno dei tanti output che concorrono a formare la reputazione/immagine. In quanto tali, dunque, non possono essere considerati in modo scollegato dal come si sta sul mercato, come e dove si fa business, con quale purpose e quali azioni. Ogni questione specifica affrontata deve rispecchiarsi sensatamente nell'intero modello di business, o rischia di rivelarsi un boomerang.
Vediamo a seguire quanto fatto da alcuni brand oltreconfine e in Italia.
Boicottare, sfruttare, bypassare: un confine labile
La rete britannica Bbc ha scelto di oscurare la cerimonia di apertura dei Mondiali in Qatar, trasmettendo in sua vece uno speciale sui diritti civili. A boicottare o criticare apertamente l'evento Qatar 2022 sono stati anche tanti brand di consumo, come quello di birra scozzese BrewDog, che con un tono piuttosto tagliente si è presentato in veste di anti-sponsor. Il Ceo dell'azienda ha infatti annunciato che "tutti i profitti della nostra Lost Lager venduti durante il torneo saranno destinati a combattere l'abuso dei diritti umani nel Paese".
We're donating all profits made from Lost Lager sold during the World Cup to causes fighting human rights abuses. pic.twitter.com/5OTA9Gn71G
— BrewDog (@BrewDog) November 7, 2022
Il marchio di abbigliamento sportivo Hummel, dal canto suo, ha scelto di creare le maglie per la squadra della Danimarca senza il proprio logo e marchio visibili, mandando una sorta di messaggio visibile attraverso l'invisibilità e comunicando la propria scelta sui canali online. "Questa maglia porta con sé un messaggio", si legge in un tweet dell'azienda: "Non vogliamo essere visibili durante un torneo che è costato la vita a migliaia di persone. Sosteniamo la Nazionale danese fino in fondo, ma non il Qatar come nazione ospitante".
This shirt carries with it a message.
We don't wish to be visible during a tournament that has cost thousands of people their lives.
We support the Danish national team all the way, but that isn't the same as supporting Qatar as a host nation. pic.twitter.com/7bgMgK7WzS
— hummel (@hummel1923) September 28, 2022
Vero e proprio passo indietro, invece, per la bevanda energetica Lucozade di Beam Suntory, sponsor dell'Inghilterra che, come riportato da The Sun, ha ritirato tutti i suoi marchi dalla Coppa del Mondo "in segno di affronto nei confronti del Qatar". Le bottiglie del brand non saranno dunque visibili durante le partite, gli allenamenti o le conferenze stampa.
Diversa, invece, la scelta di un big come Nike, che dopo scelte di maggiore attivismo in passato punta in questo caso sui "classici" atleti-stella del calcio. Una decisione che il pubblicitario Paolo Iabichino, in un post su LinkedIn, definisce come "straordinaria occasione persa per denunciare misfatti e corruzione, anziché far girare il pallone tra i piedi dei soliti beniamini in mutande, completamente disinteressati all'indotto delle ingiustizie causate dal mondiale".
Quello che è certo è che le case history sopra, così come tante altre che potremmo menzionare, mostrano quanto sia flebile il confine tra coraggio e opportunismo/social-washing, per lo meno nella percezione di consumatori/utenti che metteranno sotto la lente di ingrandimento tutto l'apparato-azienda in relazione a quella singola scelta (appunto: coerenza).
I brand in Italia
Come (dolorosamente) noto, non essendosi la Nazionale di calcio italiana qualificata nemmeno per questo Mondiale in Qatar, la situazione "di marketing" nel nostro Paese risulta paradossalmente più semplice e atta a una diversa creatività, perfino ironica. Ne è un esempio la campagna di Fonzies firmata Dentsu Creative. Il brand di snack del gruppo Mondelez invita infatti i tifosi italiani, in assenza del proprio team, a "dirottare" il proprio sostegno sul Canada, Paese dove il calcio è poco seguito e che da 36 anni mancava alla competizione. Proposto, allo scopo, un programma di allenamento online al miglior tifo con il coinvolgimento di influencer, a partire dal trio "Gli Autogol".
Diversa ma ugualmente interessante anche la scelta di Alce Nero, che continua a presentarsi come specialista storico del biologico trasformando la pratica agricola del maggese in un parallelismo con la mancata presenza dell'Italia ai Mondiali. Come recita lo spot con tono evocativo e tonalità in bianco e nero: "Noi, che abbiamo visto crescere i frutti di questa terra sappiamo che, se la terra riposa, domani saranno ancora migliori. L’Italia oggi non è al Mondiale. E anche se fa male, perché fa male, mettiamocela tutta per tornare più forti che mai. Comincia la partita". Un duplice messaggio di rinascita sul fronte ambientale e sportivo, che ben intercetta il target deluso su ambo i temi.