#Metoo pubblicitario e brand: a quando un controllo di filiera anche nella comunicazione?

L'immagine sopra viene dalla serie televisiva Mad Men, che tratta del mondo pubblicitario newyorkese negli anni Sessanta. La stessa serie tv che ha ispirato la copertina del numero 39 di L'Espresso
Nel retail e nel largo consumo l'attenzione ai partner lato produttivo è sempre più alta. La cronaca recente invita a fare lo stesso sul fronte advertising

È di questi giorni l'inchiesta esclusiva di L'Espresso (numero 39) sul dilagante sessismo vigente come modello regolare nelle agenzie pubblicitarie, uscita il 29 settembre 2023 a cura di Rita Rapisardi. Un'indagine accurata, seguita al #metoo esploso nel settore a giugno di quest'anno, che raccoglie tante testimonianze di donne ed esponenti della comunità Lgbt+, vittime predilette di una quotidianità fatta di soprusi, molestie verbali e fisiche, intimidazioni e pressioni di ogni tipo attinenti alla sfera sessuale, ma anche sfruttamento lavorativo con turni massacranti non retribuiti.
Uno scenario tanto aberrante quanto normalizzato, che coinvolge nomi molto importanti del comparto e che, in attesa di accertamenti giudiziari, pone comunque agli imprenditori un quesito su cui riflettere.
In un contesto di aziende retail e del largo consumo sempre più impegnate ad estendere controlli e responsabilità d'impresa lungo tutta la filiera produttiva, non si può più pensare che l'attenzione non debba essere altrettanto estesa lungo la filiera della comunicazione.

Non c'è differenza tra fornitori di frutta e fornitori di creatività

Inutile dire che è impossibile presentarsi sul mercato con un purpose coerente, se quest'ultimo non prende in considerazione anche il posizionamento e la reputazione dei propri partner e fornitori sotto tutti gli aspetti di business. Non si può certo parlare di equità, inclusione e diversity in una campagna se per produrla si finanziano le tasche di chi di questi valori si fa beffa, senza remora e pudore alcuno.
Fino a poco prima dell'inchiesta su L'Espresso la scusante di fatti non verificati e dell'ignoranza in materia era ancora a portata di mano: oggi non è più così ed è lecito aspettarsi che le aziende adottino diversi criteri di scelta anche sul fronte della creatività, così che sia davvero buona per tutti. Non c'è differenza, infatti, tra fornitori di frutta e verdura che sfruttano i lavoratori e fornitori di creatività che fanno lo stesso e in più li molestano. E non si tratta, ovviamente, solo di etica, che per alcuni fervidi credenti del patriarcato varrà ben poco. Si tratta di una strategica analisi di rischi e benefici reputazionali, che presto o tardi finisce per investire tutti gli elementi di un insieme, soprattutto nell'epoca della comunicazione circolare dove ben poco si può mettere a tacere quando c'è chi ha il coraggio di esporsi ("il coraggio è contagioso", ricorda una di queste voci sui social).

Gli ostacoli da abbattere: mancata cultura e visibilità

Una delle difficoltà ad adottare questo approccio più oculato alla filiera della comunicazione? La cultura aziendale, che spesso non considera davvero quest'ultima "come una materia che si studia e che richiede formazione continua", ricorda su LinkedIn la nostra opinionista ed esperta Beatrice Ramazzotti: "Chi sale nelle aziende ha studiato giurisprudenza o economia, gli stessi che all'università vedevano noi comunicatori come dei frikkettoni senza futuro. E così è rimasto. Poi succede qualche disastro mediatico e si scopre che chi ha studiato comunicazione sa come uscirne".
Una seconda difficoltà potrebbe derivare dalla mancanza di indici, certificazioni e criteri comuni, ben visibili in stile "lettera scarlatta" o "patente di merito", che possano guidare alla scelta delle agenzie partner. Su questo si potrebbe forse lavorare meglio anche a vantaggio di consumatori e talenti in cerca di impiego. In tema di riconoscimenti trasversali utili per tutte le aziende, comunque, qualcosa c'è: la nuova Certificazione della parità di genere, ad esempio, o le sempre più note Società Benefit e B Corp. A chi seleziona i partner l'ardua sentenza.

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