Celebriamo vent’anni di storia: non solo quella di Mark Up, ma quella di un’intera industry, cresciuta e maturata negli anni. La celebriamo mettendo al centro ancora una volta le persone, che questa storia l’hanno scritta. Mark Up li ha sempre messi al centro, ha chiesto loro pareri, ha dato loro voce, diventando via via una rivista di marketing e di consumi letta da tutti. E non solo da chi il settore se lo vive giorno dopo giorno, ma anche da coloro che imparano a conoscerlo, dai giovani laureandi ai nuovi adepti, che si affacciano sul mondo del retail e del largo consumo, ma che poco ne sanno; il mondo delle tecnologie, ma anche quello delle banche e delle assicurazioni, cui si sono aggiunti i fondi d’investimento, le società di consulenza, gli head hunter. Tutti lettori di Mark Up che traggono visione e informazione. Professionalmente non sono nata a Mark Up, la mia esperienza nasce in ambiti distanti, il commercio per me allora era sinonimo di shopping (il mio, non quello altrui), ma un giorno arriva una telefonata, era il 1998, lavoravo da New York prevalentemente per Elle Italia e la richiesta era un pezzo su un format in ascesa allora; gli eat-tertainment, per intenderci gli Hard Rock Cafe, Planet Hollywood, Fashion Cafè e simili, conosciuti certo, ma mai guardati con l’occhio del professionista. Non avevo mai scritto un pezzo così: credo che Nicolò Regazzoni, il giovane redattore che seguì quel pezzo, dovette lavorare non poco per riportare alle impeccabili regole di Luigi Rubinelli, l’allora direttore, le mie osservazioni da novizia. È il Mark Up dell’innovazione a 360 gradi, il momento storico è propizio, molti guardano all’estero come fonte d’ispirazione, approdano le grandi catene francesi. Mark Up intuisce che ci sono molti modi fare retail e lo racconta, lo spiega.
Il mio legame con Mark Up, però, non finisce. Tornata in Italia, inizio a lavorare per Gdoweek e Mark Up è un acerrimo nemico, un concorrente forte, da studiare, cui controbattere. È il Mark Up di Andrea Sparvoli, un mensile di largo respiro, con meno retail e più marketing.
Nel 2008, un nuovo giro di poltrone e Rubinelli torna a Mark Up, mentre la sottoscritta diventa direttore di Gdoweek. La casa editrice è la stessa: due giornali che si sono fatti la guerra per anni a questo punto devono trovare uno spazio di convivenza. Di nuovo, mi studio Mark Up questa volta non per “superarlo”, ma per allontanarmi, per fare cose diverse, per occupare uno spazio altro, mi è subito chiaro che la coopetition è tutt’altro che semplice. Infine, rieccomi, oggi direttore di entrambe le testate. Lo spazio è stato fatto e Mark Up -lo dico con orgoglio- è sì cambiato e si è evoluto con i tempi, ma rimasto fedele a se stesso e alle promesse che si fecero quei redattori e quell’editore nel 1994, alla sua fondazione: disegnare “il profilo delle cose che verranno”.