Impegnarsi per promuovere il “Farm to Fork”, dall'azienda agricola alla forchetta, valorizzando biologico e territorialità. Con il settore biologico in forte crescita (in particolare per la produzione di pasta) spingere sul progetto di una filiera territoriale significa promuovere il rispetto di sostenibilità economica, ambientale e sociale, e insieme rispondere all'aumento della domanda guardando con attenzione alla copertura dei costi e al giusto profitto per tutti gli attori coinvolti, a partire dai produttori agricoli che della filiera sono troppo spesso l’anello più debole.
È la strategia che guida Consorzio Marche Biologiche. Secondo Francesco Torriani, il presidente, servono “Un rafforzamento della filiera e servizi di consulenza per vincere le sfide del futuro”. Nato nel 2010 proprio con l'obiettivo di concentrare in unica filiera tutti i coltivatori biologici regionali, Consorzio Marche Biologiche rappresenta all'incirca 300 imprese agricole dislocate sull’intero territorio regionale –tra cui alcune tra le principali cooperative della filiera cerealicola biologica marchigiana, come Gino Girolomoni, Montebello e La Terra e il Cielo- per un totale di 30.000 ettari di superficie coltivata e 18mila tonnellate di materia prima lavorata all’anno.
Quali sono le sue considerazioni in merito alla fragilità delle filiere regionali in un contesto climatico particolare?
L’approccio di filiera non è un’aspirazione, ma una modalità di organizzare la produzione integrando tutte le fasi del ciclo produttivo, dalla coltivazione allo stoccaggio, dalla trasformazione alla distribuzione. È evidente che in questa organizzazione vanno individuati i punti di forza e le opportunità, ma anche le criticità e le minacce che si affacciano all’orizzonte, mettendo in atto tutte le misure in grado di gestire tali criticità e minacce. Per quanto riguarda i cambiamenti climatici, l’applicazione del metodo biologico di produzione rappresenta già di per se’ una risposta dal punto di vista ambientale. Sul fronte economico stiamo dando molta importanza alla gestione del rischio, attraverso l’implementazione delle polizze multirischio a copertura appunto dei danni collegati anche ai cambiamenti climatici, che impattano sulle colture gestite dalla nostra filiera.
Nella disputa bio/biodinamico qual è la sua posizione?
È evidente che la disputa sul bio-biodinamico, nata perché all’interno del Decreto Legge sull’agricoltura biologica si parla anche di agricoltura biodinamica, seppur in maniera subordinata all’agricoltura biologica, è una disputa pretestuosa cavalcata da chi non vuole che venga approvata una normativa nazionale in materia di agricoltura biologica. Evidentemente la lobby della chimica, con tutto quello che sta attorno, ha ancora il suo peso.
Proporre il biologico sotto l’egida regionale ha secondo lei una valenza positiva?
Le politiche regionali, come quelle di distretto, potranno avere un ruolo strategico se diventeranno un grande evento promozionale in grado di sviluppare tutte le sinergie possibili tra le politiche agricole in senso stretto e le altre politiche che incidono sullo sviluppo dei territori, quindi da quelle turistiche a quelle culturali, da quelle sociali e quelle produttive. Non sarà effettivamente scontato, ma rappresenta una sfida che va colta.
Rispetto ai prezzi elevati delle materie prime, qual è il suo pensiero?
L’attuale situazione dei prezzi genera delle tensioni. Guardiamo in particolare a quello che sta accadendo nel comparto del grano duro (attualmente il grano duro va oltre 500 euro/ton); è vero che questo andamento compensa le annate in cui i prezzi erano troppo bassi, ma questa sarebbe una lettura superficiale: stanno infatti aumentando tutti i prezzi delle materie prime, dai mezzi tecnici ai semi, dai carburanti all’energia in generale, facendo lievitare notevolmente i costi di produzione. Nel caso del biologico, ed in particolare nel grano duro, servirebbero delle vere filiere in grado di programmare e qualificare le produzioni in maniera da affrancarsi, almeno in parte, dalle oscillazioni del mercato. Se enfatizziamo il Made in Italy senza investire seriamente nelle filiere rischiamo di farci male. Serve coerenza tra i diversi strumenti che la politica agricola mette a disposizione per sostenere la strutturazione delle filiere: dalla Politica Agricola Comune (PAC) al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), dal Piano Strategico Nazionale (PSN) ai Programmi di Sviluppo Rurale (PSR). A beneficiare degli interventi della politica agricola non dovrebbe essere semplicemente l’azienda agricola singola, ma l’azienda agricola singola inserita in una filiera e/o distretto. Facciamo diventare questa fase critica che sta attraversando la filiera del grano duro una grande opportunità per reimpostare il comparto.
Cosa ne pensa di B/Open, qual è il ruolo di una fiera b2b?
B/Open, così come previsto dai promotori dell’evento, dovrebbe diventare un evento altamente specializzato per gli operatori delle filiere agroalimentari biologiche, in grado di attrarre gli operatori del settore, metterli a confronto sia dal punto di vista commerciale che tecnico sulle principali esigenze e fabbisogni dei nuovi mercati.
Come crede che vada impostato "il marketing di domani”?
Occorre andare oltre il biologico in senso stretto, perché il biologico rappresenta una vision complessiva sul concetto di agricoltura e di sviluppo delle comunità che va al di là della semplice norma comunitaria prevista per la certificazione dei prodotti biologici. Pertanto, le realtà produttive che vogliono giocare un ruolo importante devono impegnarsi a ricercare sempre più “attributi” e “caratteri distintivi” alle proprie produzioni agroalimentari e soprattutto saperli “narrare” ai cittadini/consumatori. Tutta la filiera deve essere sostenibile, dal seme ai mezzi tecnici, dalla confezione all’energia usata per la lavorazione, dal trasporto fino alla forchetta. Appunto dall’azienda agricola alla forchetta. Farm to fork.