In seguito alla crisi ucraina e alle sanzioni imposte dai paesi della NATO alla Federazione Russa, il presidente Putin ha messo in atto un vero e proprio embargo alimentare sul comparto fresco (ortofrutta, carne e derivati, latte e derivati e prodotti ittici). Nonostante l’effetto positivo dell’italianità sul popolo russo, la mancata disponibilità del prodotto importato ha condotto alla nascita di fenomeni di imitazione e di sostituzione dei prodotti italiani. Ad oggi risulta difficile poter quantificare i danni di immagine per l’Italia, mentre per quanto riguarda quelli economici la Coldiretti a fine 2016 ha stimato perdite per 10 miliardi di euro.
Il quadro sanzionatorio sarà in vigore fino a dicembre 2017 (a meno di ulteriori proroghe) e l’industria russa ne sta lentamente beneficiando. Si assiste infatti alla trasformazione delle quote di import mancato in punti di crescita per la produzione interna (import substitution), anche grazie alla possibilità di sussidi e aiuti monetari. Viste queste iniziative messe in atto dal governo russo, oltre all’obiettivo politico sembra anche aggiungersi quello di “risvegliare” l’industria interna e ridurre la dipendenza dai paesi esteri.
I due fenomeni più ricorrenti rilevati nel mercato russo riguardo alla mancanza di prodotti italiani sono stati due: i prodotti Italian sounding e quelli Made with Italy. I primi richiamano l’italianità, tramite l’utilizzo di caratteristiche grafiche o testuali, pur non essendo realizzati in Italia. Al contrario dell’Italian sounding, già conosciuto nel mercato mondiale, il Made with Italy è un fenomeno relativamente nuovo, che consiste nel trasferire il know how italiano di produzione nel paese estero, in modo da riuscire a replicare un bene producendolo in loco. Questo fenomeno ha fatto la fortuna di alcune aziende, anche di privati, che negli ultimi tre anni si sono stabiliti in Russia (o nei paesi limitrofi autorizzati all’export) per produrre salumi e formaggi italiani, ma Made in Russia.
Da una ricerca condotta tramite questionario su un campione di aziende italiane del settore alimentare è emerso però come le imprese non stiano cavalcando l’onda di questo fenomeno, ma piuttosto stiano abbandonando il mercato russo. Il questionario è stato inoltrato nel periodo giugno-novembre 2015 a 222 aziende produttrici di derivati della carne e del latte non più autorizzate all’export nella Federazione Russa. 36 sono le aziende rispondenti, per lo più dimensioni piccole (39%) o medie (42%), con sede prevalente in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto. Zone da cui provengono i prodotti a marchio come il prosciutto di Parma, il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano, solo per citarne alcuni. Esse sono assolutamente consapevoli della percezione positiva del brand “Italia” in Russia nel settore alimentare e su questo hanno sempre fatto leva per la promozione dei propri prodotti. Dall’entrata in vigore dell’embargo però (complice la scarsa conoscenza e vicinanza al mercato russo emersa da alcuni quesiti sull’operatività nel paese) hanno deciso di abbandonare il mercato, rinunciando a studiare soluzioni alternative per rimanere in Russia. Le aziende intervistate hanno mostrato di avere una buona diversificazione del portafoglio paesi e di essere quindi scarsamente dipendenti dal mercato russo. La maggior parte di esse è comunque sicura che i prodotti sostitutivi non riusciranno mai ad eguagliare gli originali, e che in caso di cessazione delle sanzioni, combinato ovviamente ad una ripresa del rublo, i prodotti italiani torneranno nel mercato senza alcuna ripercussione. Di questo sono certi anche alcuni operatori del settore dell’importazione e della ristorazione in Russia che, dal loro punto di vista, parlano di scomparsa e possibile sostituzione del prodotto originale Made in Italy attribuendo pari responsabilità alle sanzioni e al crollo della moneta.
L’atteggiamento passivo delle aziende del settore probabilmente porterà a scenari diversi a seconda dell’evolversi della situazione politica e monetaria. Certo è che i prodotti più deboli, di fascia media e medio-bassa, saranno destinati ad essere soppiantati dai surrogati più economici Made in Russia, Made with Italy, etc. I prodotti a marchio (DOP, DOCG, DOC, IGP, etc.), gli insostituibili, come il Parmigiano Reggiano, continueranno probabilmente ad avere la propria fetta di mercato, e il loro export tornerà ai livelli pre-sanzioni, in relazione sempre all’andamento della moneta. Le aziende italiane intenzionate a tornare nel mercato russo, se e quando sarà possibile, dovranno mettere in atto delle politiche di rilancio aggressive per comparire di nuovo sugli scaffali della distribuzione e nella ristorazione. Questo presuppone una più approfondita conoscenza del consumatore e una gestione più diretta e meno intermediata del mercato russo. L’Italia potrebbe quindi diventare non solo esportatrice di prodotto finito, ma anche di know-how, aggirando così nuove ed eventuali crisi o blocchi delle esportazioni.