La Contraffazione, ovvero la produzione e la vendita di prodotti coperti da proprietà industriale (marchio, brevetto, disegno-modello) senza l’autorizzazione del titolare, è un fenomeno che oramai ha assunto a livello mondiale una dimensione davvero impressionante, sospinto dalla globalizzazione, dalle nuove tecnologie, dagli interessi dei grandi network criminali.
Si stima che il fatturato globale derivante dalla vendita di produzioni contraffatte si attesti addirittura tra il 7% ed il 10% del commercio mondiale, nelle categorie interessate. Si tratta di una vera e propria “industria” gestita dalla criminalità organizzata, utilizzando capitali di provenienza illecita, illegale in tutte le fasi del processo di filiera: materie prime, trasformazione, lavoro, distribuzione.
I settori colpiti sono i più diversi. In ordine d’importanza: abbigliamento e accessori, alimentari, materiale audiovisivo, materiale elettrico, elettronico e informatico, orologi e gioielli, profumi e cosmetici, ricambi auto, fino ad arrivare ai giocattoli ed ai farmaci.
Gli effetti nefasti della contraffazione si dispiegano su più piani. A livello generale, si ha un impatto sulla legalità, la prosperità del sistema economico, le entrate fiscali dello Stato, l’occupazione. Nei confronti delle imprese che ne sono vittime, la contraffazione impatta sul volume d’affari, la redditività, l’immagine del brand, vanificando gli investimenti in innovazione. Per i consumatori, un prodotto contraffatto può costituire una frode e, soprattutto in taluni settori, un pericolo per la salute.
Una recente ricerca del Censis, commissionata dal Ministero dello Sviluppo Economico, ha stimato l’entità e gli effetti del fenomeno nel nostro Paese. Il volume di ricavi derivante dalla vendita di prodotti contraffatti nel 2012 si aggira intorno ai 6,5 miliardi di euro. Riportando tali volumi sul mercato legale si otterrebbero: + 17,7 miliardi di produzione, + 6,4 miliardi di valore aggiunto (+0,45% del PIL nazionale), + 5,3 miliardi di imposte (circa il 2% del totale delle entrate statali), + 105.000 posti di lavoro.
Sono dati impressionanti, che ci fanno riflettere e che sollecitano la necessità di affrontare la lotta alla contraffazione con maggiore energia.
Va rilevato che negli ultimi anni le nostre Istituzioni hanno finalmente aumentato l’attenzione al fenomeno e che sono state avviate numerose iniziative. Nel 2009 è stata creata nell’ambito del Ministero dello Sviluppo Economico la Direzione Generale per la Lotta alla Contraffazione-UIBM; nel 2010 è stata nominata una Commissione parlamentare d’inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale; nello stesso anno è stato istituito il Consiglio Nazionale Anticontraffazione – CNAC, organismo interministeriale che ha compiti di indirizzo, impulso e coordinamento di tutte le amministrazioni che si occupano di lotta alla contraffazione.
Sono dei passi importanti ma certamente non ancora sufficienti. Per essere incisiva, la lotta alla contraffazione richiede un coordinamento e una progettualità comune a livello Europeo ed internazionale, una più stretta collaborazione tra pubblico e privato, la necessaria allocazione di risorse. Molto deve essere ancora fatto in proposito per costruire sistema di contrasto del tutto efficace.
Riguardo al reperimento delle risorse necessarie, in un momento storico nel quale i gravi problemi del bilancio statale pongono limiti stringenti all’impiego delle risorse pubbliche, occorre leggere correttamente la natura degli investimenti contro la contraffazione, qualificandoli come dei veri e propri “investimenti produttivi”.
Facciamo un esercizio ragionando in una prospettiva manageriale. Con un budget aggiuntivo di 530 milioni di euro si potrebbe:
• assumere una task force di 5.000 finanzieri/addetti alle dogane dedicati esclusivamente a questo obiettivo (costo annuo 305 milioni);
• dotarla delle necessarie facilities, attrezzature, tecnologie (costo annuo 100 milioni);
• fare alcune importanti campagne di sensibilizzazione dei consumatori (costo annuo 75 milioni);
• destinare ulteriori risorse a progetti di collaborazione internazionale e pubblico-privato (costo annuo 50 milioni).
Con tale dispiegamento di risorse è ragionevole attendersi un deciso ridimensionamento del fenomeno nel nostro Paese, con una riduzione che vogliamo stimare molto prudenzialmente non inferiore al 10%. Dunque ci potremmo attendere una diminuzione del 10% degli effetti negativi della contraffazione che la ricerca Censis ha stimato: solo in termini di impatto fiscale ciò comporterebbe un incremento delle entrate pari a 530 milioni (10% della perdita di gettito fiscale odierna), ovvero il raggiungimento del pareggio da un punto di vista economico.
Naturalmente la contrazione del fenomeno della contraffazione porterebbe ulteriori importanti vantaggi: in termini di legalità, sviluppo del PIL, incremento dell’occupazione (10.500 posti di lavoro in più nella filiera, recuperando il 10% della perdita occupazionale odierna, e 5.000 posti di lavoro ulteriori nelle attività di contrasto), recupero di competitività delle imprese vittima della contraffazione, salvaguardia dei consumatori. Se il risultato del progetto di contrasto dovesse portare a una riduzione del fenomeno superiore al 10%, cosa molto probabile, entreremmo decisamente nell’”area del profitto”.
Dunque, incrementare le risorse da destinare al contrasto alla contraffazione può rivelarsi un ottimo affare per il nostro Paese. E parimenti, ragionare maggiormente in chiave manageriale può costituire un’ottima opportunità per i decision maker dell’Azienda Italia.