Look-alike: al limite della concorrenza sleale

Riprendere fattezze o pack di un articolo in commercio, influenzando i consumatori non sempre lealmente. Una pratica sempre più spesso discussa in tribunale

Con “look-alike si fa riferimento a un prodotto nuovo che ne “imita”, sotto vari aspetti, uno già presente sul mercato. Il tema è centro della prima puntata de Il legale informa, una nuova serie presto disponibile sul sito di Mark Up. Il tema ha ricevuto recentemente un’ampia eco mediatica. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Elisabetta Berti Arnoaldi e l’avvocato Francesca La Rocca Sena, partner dello studio legale Sena & partners. “Il “caso Barilla”, deciso dal Tribunale di Brescia con l’ordinanza del 18 marzo 2024 -comincia Berti Arnoaldi-, ha ad oggetto una fattispecie di cosiddetto “look alike”, un’espressione con cui si fa riferimento al sosia di un prodotto già noto sul mercato. Lo si realizza riprendendo le caratteristiche formali di quest’ultimo e l’abbigliaggio delle sue confezioni. Lo scopo del look-alike, che evoca ma non necessariamente confonde, è di trasferire sul nuovo (o comunque meno noto) prodotto l’esperienza positiva che il consumatore ha già sperimentato con quello già noto. È una tecnica ampiamente diffusa nei più diversi settori del largo consumo. Tipico caso di look-like sono i cosiddetti own-brand o fast moving products”.

Quello del look-alike è un fenomeno che colpisce in particolare in ambito food and beverage ma anche quello del lusso, dove è molte frequente la ripresa dell’abbigliaggio di bottiglie e di imitazione del pack di prodotti accreditati sul mercato. “Il forte risparmio di risorse in termini di ricerca e di creatività è il tornaconto di chi impiega la tecnica del look-alike -aggiunge La Rocca Sena-, determinandoil calo della resa degli investimenti effettuati per il prodotto originale. Quest’ultimo subisce pure una riduzione di appeal per via dell’inflazione della propria immagine, dovuta all’interscambiabilità con il sosia. Tutto questo ha portato i giudici a trarre conseguenze in base alle considerazioni in termini di indebito vantaggio e ingiustificato pregiudizio”.

Dagli anni ’90 sono state diverse le decisioni dei Tribunali riguardo al fenomeno. Le corti si sono lo più orientate a ritenerlo illecito, in virtù del divieto di concorrenza sleale. “La formulazione di tale norma è articolata e comprende fattispecie diverse -continua Berti Arnoaldi-, accumunate dall’effetto di alterare la concorrenza a svantaggio di terzi imprenditori e dei consumatori. In particolare, sono comprese le attività confusorie e/o di indebito agganciamento, ma anche quelle in cui si dimostra scorrettezza professionale e il danneggiamento per l’altrui azienda”.

Ma veniamo a Barilla

“Il Tribunale di Brescia è intervenuto (per la terza volta in dieci mesi) in un giudizio cautelare -riferisce La Rocca Sena-, promosso da Barilla per tutelare le caratteristiche della forma di dieci tipi di biscotti della linea Mulino Bianco e delle relative confezioni di fronte alla minaccia di prodotti “sosia” (ovvero look-alike) di Tedesco srl rivenduti da Sapori Artigianali srl. Si tratta fra gli altri di Abbracci, Pan di Stelle, Gocciole e Galletti. Il giudizio aveva avuto inizio nel giugno 2023, quandoBarilla aveva agito sulla base dei suoi diritti di marchio su questi dieci biscotti, oltre che facendo valere il divieto di concorrenza sleale. L’azione di Barilla proposta in via d’urgenza , pur ridotta nelle pretese in prima battuta aveva trovato accoglimento(decisione poi parzialmente confermata in sede di convalida), ma è stata poi riformata in sede di reclamo, con l’ordinanza con cui è stata chiusa la fase cautelare.

Una sostanziale revoca, quella dei provvedimenti a favore di Barilla, dovuta essenzialmente al fatto che le controparti sono riuscite a dimostrare che il produttore poteva in teoria conoscere l’esistenza dei loro prodotti dal 2016: “Una circostanza incompatibile con il presupposto dell’urgenza di un provvedimento cautelare -fa eco Berti Arnoaldi-. Resta d’altra parte il fatto che, nella decisione si trovano anche alcune considerazioni che potrebbero influenzare il giudizio ordinario. Sul fronte della concorrenza sleale i giudici hanno insinuato che l’ampia diffusione di prodotti con forma e confezioni simili a quelli di Barilla, sia stata per certi versi tollerata dal produttore, ostacolando la configurabilità di un’attività confusoria, essendo messe in pratica da uno dei soggetti tra i molti fabbricanti di sosia già sul mercato, in maniera ampiamente diffusa ormai da tempo, con caratteristiche sostanzialmente comuni a molteplici confezioni di biscotti (la forma della confezione, il colore giallo, il posizionamento della foto e il posizionamento del marchio). Marchio che, peraltro, nei prodotti sosia, è stato ritenuto ben visibile e completamente differente per immagine, colori e parte letterale da quello Barilla. Ciò escluderebbe una concorrenza sleale nell’ambito di un mercato affollato. In questa situazione, quale che sia nel giudizio ordinario (che verosimilmente seguirà, in mancanza di una soluzione transattiva) l’esito dell’istruttoria rispetto all’effettivo affollamento del settore, ci si deve comunque domandare quale soluzione potrà darsi al raffronto con un atto di parassitismo”.

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