La recente ricerca “Machine Learning e Marketing: lo stato di adozione in Italia” condotta da Netcomm in collaborazione con Quantcast parla chiaro: in Italia l’adozione di tecnologie promettenti come il Machine Learning è ancora fortemente in ritardo, ma i brand che lo utilizzano (44%) registrano un significativo incremento del fatturato e rilevanti benefici nelle attività di marketing.
Tale ritardo nell’adozione del Machine Learning nel marketing risulta essere dovuto principalmente alla mancanza di fondi necessari per implementare la tecnologia (37%) e all’assenza di professionisti esperti in azienda (35%). Due ostacoli che in realtà, come dimostra la ricerca, non dipendono necessariamente dal fatturato o dalle possibilità in termini di risorse interne, ma da un approccio aziendale che non sempre premia lo sviluppo tecnologico.
Si tratta, quindi, molto spesso di un tema di cultura aziendale. Tale cultura per essere in armonia con tecnologie come il Machine Learning deve in primo luogo essere data-driven. La Data Driven Culture riconosce il dato come punto di partenza di strategie e progetti, rendendosi conto che nella società attuale il dato è il “new oil”.
Facendo un passo indietro, e ritornando sul concetto di Machine Learning si arriva a capire come tali tecnologie stiano diventando sempre più imprescindibili per non perdere quote di mercato. Il Machine Learning, traducibile in italiano come apprendimento automatico, fu un’espressione coniata per la prima volta dall'informatico Arthur Lee Samuel (1901-1990), scienziato pioniere nell’ambito dell’Intelligenza artificiale, nel 1959. Oggi, la comunità scientifica indica come definizione più accreditata di Machine Learning quella del Professor Tom Michael Mitchell (Carnegie Mellon University, Pennsylvania) per cui “si dice che un programma apprenda dall’esperienza (experience) con riferimento a alcune classi di compiti (tasks) e con misurazione della performance, se le sue performance nei compiti, come misurato dalla performance, migliorano con l’esperienza”. Riassumendo, si tratta di un apprendimento automatico, che abilita modelli predittivi, dettato dalla capacità di elaborazione di una mole di dati tale da essere pressoché impossibile da elaborare senza l’ausilio di una macchina. Vengono, infatti, archiviati centinaia, migliaia di dati che racchiudono frammenti delle vite, delle abitudini, dei gusti di una persona che, messi nel giusto ordine, risalgono alla corretta definizione di quest’ultima. Chi è, cosa fa, cosa desidera, dove, quando e perché. Da qui discende l’estrema importanza dell’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale in generale e del Machine Learning in particolare per guidare le proprie scelte di marketing.
È ormai chiaro come la cosiddetta “Data economy” rappresenti il punto d’incontro tra istituzioni regolatrici (si pensi a quanto ha fatto l’UE con l’introduzione del Gdpr e a tutta l’attività dei Garanti nazionali in materia) e, previa segmentazione e clustering della clientela, la promessa di iper personalizzazione fatta ai clienti per assicurare la migliore customer experience possibile in un mondo caratterizzato da alta competitività e ora dalle conseguenze senza precedenti di una pandemia al tempo della globalizzazione. Ecco, quindi, come i big data stiano di fatto cambiando l'economia, imponendo l’adozione di nuove tecnologie come necessarie.
In questo contesto, di pari passo con la diffusione con queste tecnologie, sono nate anche entità/aziende (più o meno controverse) come i data broker, ossia gli intermediari che, con l’attività di data brokering, raccolgono e commerciano dati, personali e non. Questi data broker, che negli USA sono definiti anche “information broker” o “information reseller” e si muovono sul confine della necessità e della proporzionalità del trattamento in relazione alle finalità perseguite, sono solo una delle possibili realtà citabili legate al mondo dei dati per comprenderne la complessità e gli interessi che vi girano attorno.
La possibilità di sfruttare tali tecnologie in maniera adeguata e conforme alle normative in vigore tali tecnologie è, tuttavia, una realtà ed, anzi, una necessità per fare parte dell’assetto economico-produttivo dei mercati di oggi e del futuro. Di fatto, tendenze in atto come la democratizzazione delle tecnologie, la smaterializzazione degli asset fisici rimpiazzati da virtual e sharing economy, e la decentralizzazione dei business model stanno operando un’autentica rivoluzione copernicana, dove sono le persone, i dati le informazioni a costruire il valore aziendale, con paradigmi quali l’essere data-driven e people-centric come fondamentali.