Che lo smart working non sia un fenomeno passeggero ed emergenziale sembra sia ribadito anche da alcuni dati recentissimi: secondo il Rapporto Coop 2020, gli uffici saranno un po’ più vuoti anche nel 2021, perché la quota degli occupati da remoto passerà dal 3% al 16%, con 3,3 milioni di persone che lavorano a distanza rispetto alle 570.000 del 2020. Una delle cose che il Covid19 ha più stravolto nella vita quotidiana è proprio il rapporto quotidiano con il luogo di lavoro: Facebook, Twitter, Google, e in genere quasi tutte le "Gafa" sono state le prime ad annunciare che gran parte dei propri dipendenti avrebbero svolto il proprio incarico da remoto. Google l’ha confermato di recente anche per il 2021: e stiamo parlando di circa 4.500 dipendenti. “In Italia si parla di una quota pari al 30% di lavoro intelligente, quando si arriverà a regime -aggiunge Massimiliano Notarbartolo, cofondatore e ceo di Progetto Design&Build-. Detta così sembra che l’ufficio non sia che una delle vittime eccellenti della pandemia, al pari dei luoghi di aggregazione che costituivano il nostro modello sociale di riferimento. Ma Melvin Webber fu tra i primi negli anni ’60 a teorizzare la città del futuro in cui il lavoro sarebbe stato possibile al di fuori e senza un legame fisico con la struttura dell’ufficio. Con internet si avvera la predizione di Webber, la distanza inizia a perdere di importanza e con essa la città non è più costretta a svilupparsi secondo i ritmi di crescita dell’economia”.
Ristrutturare l’ufficio per promuovere i legami deboli. Con un laptop e una buona connessione anche wi-fi si colma più o meno perfettamente (dipende dalla tipologia di lavoro e dalle aziende) la distanza, con una qualità del lavoro che va dal sufficiente al buono (l’optimum non esiste, almeno per ora). L’interazione tra le persone è per forza di cose meno fluida, più rarefatta. “Il lavoro promosso da remoto rafforza i legami forti con le persone che appartengono già alla nostra cerchia -precisa Notarbartolo-. Allo stesso tempo perdono d’importanza i cosiddetti legami deboli che si possono definire l’insieme di rapporti che provengono dalle conoscenze casuali. Il risultato è la sostanziale restrizione delle interazioni, si parla di frammentazione della comunicazione provocata dagli spazi virtuali. La tecnologia per ora non è in grado di provvedere in tal senso per cui l’unico modo per ristrutturare le relazioni casuali è solo lo spazio fisico condiviso”. Le ristrutturazioni degli uffici, secondo Notarbartolo, dovranno seguire questa traccia per evitare di impoverire lo slancio innovativo, vitale per ogni azienda.
Nel saggio “La forza dei legami deboli”, pubblicato nel 1973, Mark Granovetter, afferma che dai conoscenti e dalle persone che incontriamo casualmente, dipende l’allargamento della nostra cerchia di contatti utili. È un’affermazione che vale anche nella sfera privata, perché spesso le esperienze più belle e decisive si vivono grazie a incontri del tutto eccentrici rispetto alla quotidianità relazionale. “I legami deboli sono essenziali per incrementare il numero di occasioni in grado di fornirci aiuto sostanziale -prosegue Notarbartolo-. Al contrario, i legami forti possono indicarci soluzioni che con buona probabilità abbiamo già preso in considerazione, il loro apporto è più che altro il sostegno emotivo”. L’innovazione e la mescolanza d’idee nuove hanno più possibilità di sorgere dall’abbattimento dei preconcetti e dalla normalità intellettiva che in genere non porta innovazione. “Le nuove planimetrie degli uffici -prosegue Notarbartolo- dovranno cercare di affermare l’effetto mensa, in cui apertura e dinamicità prevalgano rispetto all’isolamento. La sfida per l’ufficio di domani è far rinascere un luogo di confronto, galvanizzato dalla ricerca della promozione dei contatti. Può apparire strano parlarne proprio nell’epoca del distanziamento sociale ma dobbiamo ricordarci e tener ben presente che le pandemie impongono distanziamento fisico non sociale”.
Bell’articolo, complimenti!