Recentemente era possibile leggere sul FT (10 dicembre 2014), con un forte imbarazzo per chi ha a cuore le sorti del nostro Paese, associate nello stesso articolo le notizie sugli arresti per corruzione a Roma e il declassamento del rating di Standard & Poor’s al livello di
BBB-,un gradino sopra il livello “junk”.
E’ peraltro ormai ben studiata e riconosciuta l'importanza delle norme etiche, dei valori di solidarietà, di rispetto della legalità e della dignità, di riconoscimento della diversità, di un rapporto positivo e di fiducia nei confronti del prossimo, di avversione alla disuguaglianza, come elementi fondamentali non solo della convivenza civile ma anche dello sviluppo economico. Per contro, dove vi è bassa moralità troviamo comportamenti opportunistici, elevata evasione fiscale, corruzione tra gli amministratori pubblici e nella classe politica, nepotismo nelle istituzioni e nelle imprese, elementi tutti che riducono la crescita. A ulteriore conferma, nello stesso articolo del FT si ricordava che la corruzione è citata regolarmente dagli investitori esteri come una importante ragione per non investire in Italia, che è al 69° posto nel corruption index del 2014, sotto la Turchia, il Kuwait e il Sud Africa.
Tutte le persone oneste provano un senso di vergogna e di forte indignazione nel leggere il livello morale del nostro Paese e quanto il tessuto politico, economico e finanziario sia intriso di malaffare, di cattive pratiche, di scarso senso etico e sociale. E tutte si sentono senza colpa per quanto sta accadendo. Del resto uno degli sport nazionali più praticati è quello di additare qualcun altro come responsabile di una cattiva situazione. Penso sia giunto il momento in cui smettiamo di indignarci e cominciamo a fare qualcosa di concreto per cambiare la situazione. E che anche le università e i professori si chiedano quanta colpa abbiano a questo riguardo.
Le università e in special modo i dipartimenti di economia e di management, che hanno la particolare responsabilità di formare buona parte della classe dirigente, devono interrogarsi su quanto fanno per sviluppare un forte senso etico negli studenti. E la risposta “benevola” è che fanno poco. Certo, ben vengano i corsi sull’etica nel business che si stanno timidamente diffondendo, ma il problema è che l’etica non si sviluppa studiando un paio di libri sull’argomento. Dunque, che fare?
Il senso etico e la necessità morale non s’insegnano con i corsi, ma sono convinzioni, atteggiamenti e soprattutto comportamenti che ogni individuo fa suoi attraverso un percorso di crescita personale e di rapporto con la comunità in cui opera. A questo riguardo l’Università e i docenti possono essere testimoni concreti e convincenti, più di qualunque lettura o corso, dell’importanza dei valori. E’ fondamentale che i docenti indichino in qualsivoglia attività e con ogni atteggiamento, a partire dal contenuto delle lezioni e poi in qualunque comportamento, quanto il rispetto assoluto delle regole, la correttezza in aula e agli esami, la fiducia reciproca, l’attenzione vicendevole, la solidarietà, siano fondamentali.
Non è un caso che nelle nostre università sia largamente diffuso il falso buonismo del “vivi e lascia vivere”, ad esempio tollerando comportamenti scorretti, come la “banale” copiatura agli esami, che non è una lieve trasgressione, tutto sommato innocente e anche segno di sana furbizia. Non sanzionare ad esempio con forza e in modo esemplare le violazioni, produce danni enormi negli studenti: chi imbroglia nelle aule, trovando tolleranza e forse anche un poco di ammirazione, trova poi, da adulto, non grave comportarsi disonestamente anche nella vita sociale, politica ed economica. E chi vede premiata la furbizia, trova conferma sul fatto che il rispetto delle regole sia materia degli sciocchi. Sotto questo profilo, il rigore che esiste nei paesi anglosassoni non è il frutto di una rigidità moralistica e bigotta, ma nasce dalla consapevolezza di quanto il rispetto delle regole etiche sia essenziale nella formazione culturale dei giovani. La diffusione dell’etica e del senso morale dipende anche dalle convinzioni e dal comportamento dei docenti.
E infine le università italiane non possono essere disinteressate su cosa avviene fuori dalle aule e devono inserire la responsabilità sociale tra le proprie priorità, con un forte impegno verso la comunità locale. Non si può insegnare nei corsi la responsabilità sociale ed essere del tutto disinteressati al tema nei comportamenti concreti. Non è un caso che in moltissime istituzioni accademiche nei paesi più virtuosi del nostro si dia grande peso all’impegno sociale dell’università e che si riconosca il valore formativo delle attività di volontariato, stimolando concretamente e in modo strutturato nei discenti, docenti e personale amministrativo un’attività di aiuto e di sostegno verso il prossimo.
La rinascita, prima di tutto morale, del nostro Paese è una responsabilità che non può essere delegata a nessun altro se non a noi stessi. A ciascuno di noi, ma soprattutto a chi ha la responsabilità della formazione culturale dei giovani.