Lo Stato batte cassa. Lo farà a colpo sicuro, mettendo le mani nelle tasche dei cittadini: si pagherà a consumo, se passa la riforma dell’Iva; lo farà con i settori che gli garantiscono entrate e che meno gli interessano politicamente. Obama parla spesso di consumi, ricordava l’altro giorno Ivo Ferrario di Centromarca, Renzi non ne parla mai. Giovani, lavoro, riforma elettorale, evidentemente sono temi che “tirano”, mentre il Reverse Charge è per pochi, difficile da capire, ancora più difficile da spiegare e della sua applicazione o meno i votanti poco si interessano: ergo si può fare. Nelle pagine seguenti dedichiamo spazio al Reverse Charge: non solo ne spieghiamo i contenuti, ma diamo voce a chi non può permettersi di non interessarsene. Quando si introducono nuove normative come queste che colpiscono distribuzione e largo consumo, non si mette mai in luce che, alla lunga, tali provvedimenti andranno a colpire anche il consumatore. Chiunque abbia poche nozioni di microeconomia sa che toccare dall’esterno gli equilibri di settori altamente competitivi è molto rischioso per l’intero assetto economico. Alta competizione significa marginalità risicate, guerra sui prezzi, limatura dei costi. Se togli qualcosa a questo sistema, i più deboli cadranno, gli altri dovranno ritoccare i prezzi e il cittadino viene colpito in due modi: laddove il cambiamento genera chiusure, in perdita di posti di lavoro; dove, invece, c’è ritocco sui prezzi si avranno costi più alti. Una cosa, ovviamente, non esclude l’altra. In teoria, questo dovrebbe scatenare un putiferio, invece non succede perché, da un lato, l’industry in questione è poco presente a livello mediatico, dall’altra perché difficilmente il cittadino incolperà il legislatore, ma sarà più portato a mettere all’indice l’insegna dove fa la spesa o la marca che ha alzato il prezzo o il proprio datore di lavoro che non ha saputo ben gestire l’azienda. Il legislatore esce, ancora una volta, con le mani pulite. Ma se il Reverse Charge non dovesse passare, se l’Europa lo dovesse fermare? Il nostro legislatore non si farà problemi perché è pronta la clausola di salvaguardia sull’Iva. E qui a pagare saremo tutti, a prescindere dal reddito; anzi, saranno i meno abbienti a risentirne di più. Un altro passo silenzioso per raccogliere risorse, che si aggiunge alle accise già in essere (ricordiamo quella sulla birra) o dichiarate (vedi benzina, come si legge nell’intervista al sottosegretario Enrico Zanetti). Alla fine a molti italiani, che già hanno tagliato sulla spesa alimentare, non rimarrà che abbassare la qualità del carrello, puntando a cibi meno costosi. Ha detto bene Marco Pedroni, presidente di Coop Italia: come si amplia la forbice tra ricchi e poveri, così si allarga il divario tra alimenti superpremium (alla Eataly per capirci) e alimenti discount. Da un lato, scaffali dedicati ai volumi, dall’altro a prodotti di valore: al consumatore è lasciata la scelta, ma siamo certi che questa scelta per molti italiani sarà ancora disponibile a lungo?