L'insostenibilità dell'attuale modello alimentare impone di "ripensare il nostro approccio al cibo, dal campo alla tavola", sottolinea Fondazione Barilla, facendo come d'uso il punto sul tema con numeri e analisi di scenario. Una questione ormai chiara a tutti che richiede il coinvolgimento di tutta la filiera ma anche di tutti gli attori, dalle istituzioni al cittadino.
L'occasione per fare il punto della situazione è stato il pre-summit Onu, un appuntamento fondamentale dove "i leader politici dovranno affrontare concretamente il problema alimentare e la correlata emergenza ambientale, trovando soluzioni che incoraggino, per esempio, lo sviluppo di una legislazione vincolante in materia di sprechi, o una maggiore trasparenza sui processi produttivi degli alimenti in commercio e dunque sulle emissioni di gas serra che ne derivano. Chiaramente, però, il sistema funziona se ogni cittadino fa la sua parte. Non è impossibile. Basta imparare a 'mangiare con la testa', prima che con la bocca”, ha evidenziato Marta Antonelli, direttrice della ricerca di Fondazione Barilla.
Alcuni numeri. A riprova del problema, basti pensare che, nel 2020, 768 milioni di persone nel mondo hanno sofferto la fame. Il fenomeno è dovuto alle conseguenze indirette del Covid-19 e a sistemi alimentari che creano insicurezza e sono poco sostenibili, risultando responsabili fino al 37% delle emissioni di gas serra e al 92% dell'impronta idrica dell'umanità. Eppure, l'adozione diffusa di una dieta salutare e a basso impatto ambientale potrebbe portare – solo in Italia - a un risparmio di circa 14 milioni di tonnellate di Co2 equivalente e a 11 miliardi di m3 di impronta idrica, comparabile alla metà del volume idrico del lago di Como.
E mentre si porta avanti un lavoro sul fronte politico globale e di sensibilizzazione del cittadino, coloro che stanno "nel mezzo", ovvero industria e retail, possono e devono fare la loro parte (un tema che sarà al centro anche del Marketing & Retail Summit 2021 con i relativi protagonisti). La gdo tedesca in questo senso sta portando avanti progetti sperimentali ambiziosi come quello dell'etichetta climatica, che mostra quale sarebbe il reale costo delle diverse categorie alimentari, se, nei processi di produzione, fosse incluso anche il loro impatto sull’ambiente. Ma c'è anche il marchio svedese Felix, che ha creato il Klimatbutiken, ovvero un "negozio del clima" dove i prezzi di tutti i prodotti sono basati sulla loro impronta di carbonio e ogni cliente ha a disposizione un budget settimanale di Co2. Si tratta di test che paiono efficaci nel promuovere comportamenti responsabili presso i consumatori.
Da ultimo, ma non certo per importanza, il recente e tanto discusso annuncio di Aldi in Germania, che ha dichiarato lo stop entro il 2030 sui suoi scaffali alla carne da allevamenti intensivi. Nel Paese a ogni tipologia di carne è assegnato un valore da 1 a 4: più questo è basso, peggiori sono le condizioni di vita degli animali. Aldi ha deciso di impedire la vendita di prodotti con marchio 1 e 2, che di norma sono anche quelli più economici. Un impegno che secondo alcuni non riuscirà ad essere soddisfatto dalla filiera, ma che alza comunque di parecchio l'asticella, rispondendo alla crescente sensibilità dei consumatori del territorio sulla questione (una grande percentuale è impegnata a ridurre o a eliminare la carne dalla propria dieta).
Lo sforzo richiesto, insomma, riguarda tutti e richiede davvero un cambio di paradigma che per molti versi pare faticoso e costoso, ma che i numeri ci confermano essere imprescindibile per evitare costi molto più elevati in futuro.