LifeGate, pionieri nella consulenza sulla sostenibilità

Con LifeGate Impact una unit che raggruppa tutti i servizi che il gruppo offre alle aziende sin dal 2000 per rispondere al boom di richieste sul mercato

LifeGate è oggi considerata il punto di riferimento della sostenibilità in Italia e conta su una community di oltre 5 milioni di persone. La gigantesca trasformazione green decisa dall’Ue, ma che interessa gran parte del mondo globale, sta generando nelle aziende una forte domanda di consulenza sulla sostenibilità. Secondo uno studio pubblicato da Growth Market Reports, il settore raggiungerà, entro la fine del 2031, i 14,1 miliardi di dollari di valore, con un tasso di crescita annuale del 5,4% rispetto agli 8,8 miliardi di dollari fatti registrare nel 2022 (+60,2%). Per rispondere in modo più efficace a questa richiesta LifeGate opera con LifeGate Impact, una unit che raggruppa tutti i servizi di consulenza sulla sostenibilità che il gruppo offre alle aziende sin dal 2000, da quando è nata.

Dal 2017 è diventata Società Benefit e vanta un giro d’affari aggregato di circa 30 milioni di euro.

“Abbiamo sentito la necessità di raggruppare i nostri servizi di consulenza sulla sostenibilità per offrire una proposition più chiara al mercato -spiega Guerino Delfino, vicepresidente esecutivo di LifeGate-. LifeGate è fondamentalmente conosciuta per la radio e il suo media network; sono meno note invece le attività di consulenza che però ci vedono impegnati da tempo al fianco delle aziende: per alcuni brand, come Toyota, addirittura da più di 15 anni”. LifeGate nasce come community brand con l'intento di promuovere stili di vita sostenibili tra le persone in maniera pionieristica. Ma fin da subito si rivolge anche al mondo delle imprese con il noto progetto Impatto Zero, la prima attività di calcolo, riduzione e offsetting di CO2 a livello europeo e, dopo pochissimi anni, ha attivato servizi di consulenza strategica per le aziende.
Sono diversi i settori merceologici e i brand con i quali il gruppo LifeGate può vantare la propria expertise consulenziale sull’impatto della sostenibilità nei vari business. A cominciare dal food & beverage, dove serve nomi come Garofalo, Alce Nero, Lavazza, Findus, Pizzoli, Caviro, Firriato, Berlucchi, Coop; fino ad automotive, turismo, moda, outdoor, design e servizi e utilities. Ma chi sono e cosa chiedono i brand? “Nel food collaboriamo con aziende vinicole, con chi produce pasta, olio, prodotti agricoli come le patate, con aziende che operano nel B2B e che con le nuove normative e i nuovi standard hanno paura di perdere opportunità soprattutto sui mercati esteri. Stiamo per esempio lavorando con aziende che lavorano nel biologico e ci chiedono cosa manchi per essere veramente sostenibili. La media impresa sta iniziando a muoversi in maniera importante, spinta delle nuove direttive che renderanno obbligatorie le disclosure di sostenibilità anche per queste realtà: entro il 2030 avremo 50 mila aziende che dovranno farle obbligatoriamente”.

I temi prioritari sono quelli oggi dominanti: packaging, filiere, agricoltura rigenerativa, CO2, consumo dell'acqua, pesticidi, trasporti, logistica, energie rinnovabili, efficientamento energetico, il clima.

Ma una strategia sostenibile è qualcosa di più. “La sostenibilità non può essere vista come qualcosa da aggiungere a una strategia aziendale: è altamente trasformativa, molto più del digitale e rimette in discussione una visione socio-economica. La consulenza parte quasi sempre da un'analisi, da un benchmark per capire dove si trova l’azienda, quali sono gli impatti che crea all'interno delle varie dimensioni sociali, economiche e ambientali. E da lì poi occorre costruire una strategia che porti con il tempo a trasformare il business, i prodotti, la value proposition”.

Insomma non si tratta di aggiustare qualcosa per rimettersi in carreggiata ma è necessario un cambio di prospettiva che guardi soprattutto al futuro.

“In Italia le filiere, per esempio, si basano molto sulla dieta mediterranea. Ma occorre portarci dentro la visione futura del cibo, è un processo lunghissimo. Significa disegnare prodotti nuovi che si basino sulle nuove ricerche, su quello che sta emergendo, quelle che saranno le nuove materie prime, le nuove frontiere. È un'industria che ha bisogno di un redesign. Sta poi aumentando, da parte del marketing, la richiesta di contenuti che aiutino a raccontare la propria sostenibilità. La marca deve creare un nuovo storytelling, una sua visione, un nuovo posizionamento che è diverso da quello di marketing”.

Di fronte a questa complessità, agli aspetti misurabili e quantitativi, come valutare l’impatto Lca di un prodotto, molte aziende stanno cercando di muoversi in via prioritaria sul fronte climatico. “C’è una richiesta enorme: chiedono attività legate ad ambiente, foreste, oceani, piantumazione di alberi, plasticless, offsetting, biodiversità. Questo genere di azioni è importante, ma sono molto relative rispetto ai temi della sostenibilità perché prima l’azienda deve trasformare sé stessa. Molte imprese mentre avviano uno studio di sostenibilità, vogliono subito dare un segno evidente del loro impegno sul tema attraverso progetti concreti”.

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