Primo obiettivo di Ettore Prandini, nuovo presidente nazionale di Coldiretti? Portare a casa l’etichettatura d’origine in tutti i comparti, non solo sulle materie prime, ma anche nei trasformati nell’arco di 5 anni. Lombardo, laurea in giurisprudenza, 46 anni, con tre figli, Il numero uno dell’organizzazione agricola di Palazzo Rospigliosi è stato eletto all’unanimità dall’Assemblea dei delegati di tutte le regioni lo scorso 7 novembre. Prandini guida un’azienda zootecnica di bovini da latte e gestisce un’impresa vitivinicola con produzione di Lugana. Dal 2006 ha guidato Coldiretti Brescia, dal 2012 è il numero uno di Coldiretti Lombardia.
“Gli agricoltori stanno facendo la propria parte, ma possiamo e dobbiamo dare di più creando le condizioni per garantire reddito alle imprese. E rilanciando un sistema che sia in grado di offrire prezzi più giusti alla produzione, meno burocrazia e maggiore competitività, a partire da una politica di accordi di libero scambio che non penalizzino i nostri prodotti a livello internazionale fino al varo di una legge comunitaria per l’etichettatura d’origine che garantisca vera trasparenza e libertà di scelta ai consumatori”.
Su quali comparti ancora è necessaria secondo Coldiretti l’etichetta che indica la provenienza?
Nel comparto dei prodotti lattiero-caseari e nella trasformazione del pomodoro è parziale, ma penso ad esempio alla carne suina, a quella di coniglio, agli insaccati, ai prodotti da forno come il pane o i dolci per quanto riguarda le farine. Tra l’altro la Commissione europea sta pensando a una forma di etichettatura generica che potrebbe invalidare tutto il lavoro fatto finora e le cui performance come crescita dei consumi, grazie alla trasparenza e tracciabilità completa, sono oggi sotto gli occhi di tutti. Bisogna quindi informare il consumatore e dargli la possibilità di scegliere.
E sull’internazionalizzazione dell’agroalimentare?
Siamo favorevoli a qualsiasi iniziativa sostenga il prodotto agroalimentare all’estero, ma occorre essere competitivi e sostenere l’internazionalizzazione, ad esempio partendo dalle infrastrutture per la logistica e il trasporto. Occorre far viaggiare con l’alta velocità non solo le persone, ma anche le merci. Se analizziamo ad esempio un comparto strategico per il nostro Paese come l’ortofrutta possiamo capire quanto abbiamo perso come Paese nei confronti della Spagna che si è portata più avanti in questo senso e riesce a essere più concorrenziale. Anche la Francia ha fatto molta strada, dobbiamo imparare che arrivare nel Nord Europa con una logistica efficiente fa la differenza anche per la catena distributiva. Fondamentale è anche il supporto alla crescita dell’eCommerce che vede ancora l’agroalimentare come una nicchia rispetto ad altri settori, ma è quello che in definitiva sta mostrando i tassi di crescita maggiori. La Cina ha aperto all’import di carne suina Spagna e Germania e si sono mossi subito nell’arco di 1 anno l’Italia ha impiegato 5 anni.
Come si sostiene lo sviluppo delle filiere?
È per noi fondamentale il tema della sostenibilità ambientale relativamente alle filiere poiché questo nel medio e lungo periodo si ricollega sempre a strategie più efficaci di valorizzazione del prodotto. Tra le filiere più innovative ci sono quelle legate alle bioenergie, ad esempio del biogas e anche la nuova frontiera del biometano come combustibile alternativo anche per l’autotrazione.
Avete presentato Filiera Italia.
Bisogna partire da un rinnovato rapporto con le imprese agricole. Se si riconosce un adeguato valore all’azienda che fornisce i prodotti agricoli e le si consente di restare punto di riferimento della qualità si supporta l’intera filiera a monte e a valle con risultati apprezzabili anche fuori dai confini nazionali. In questo modo possiamo difendere non solo i primati di qualità e distintività dei nostri prodotti ma anche contrastare il tentativo dell’etichettatura a semaforo proposta della Francia o la presentazione all’Onu della risoluzione dei sette Paesi della “Foreign Policy and Global Health (Fpgh) che potrebbe danneggiare la reputazione di alimenti come l’olio extravergine, il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano o il prosciutto di Parma.
Un esempio di filiera nuovissima?
Il boom della canapa in Italia che in 5 anni ha visto aumentare di dieci volte i terreni coltivati, dai 400 ettari del 2013 ai quasi 4mila stimati per il 2018 nelle campagne. La materia prima viene impiegata per produzioni innovative che vanno dalla ricotta agli eco-mattoni isolanti, dall’olio antinfiammatorio alle bioplastiche, fino a semi, fiori per tisane, pasta, biscotti e cosmetici.
Come si può evolvere il rapporto tra parte agricola e parte industriale?
L’agricoltura deve riuscire a intercettare parte del valore aggiunto della filiera ad esempio attraverso accordi che vedono produttori agricoli e trasformatori lavorare assieme come partner paritari. Penso ad esempio all’accordo tra Coldiretti, Consorzi agrari d’Italia, Fdai (Firmato dagli agricoltori italiani) e il Gruppo Casillo per la fornitura di 300 milioni di chili di grano duro biologico destinato alla pasta, o ancora all’accordo con il Consorzio Casalasco del Pomodoro o a quello con il Gruppo Cremonini per la carne.
In termini di politiche dell’Ue quali comparti necessitano di interventi?
Il settore del riso, ad esempio con la rinegoziazione degli accordi tra l’Ue e i Paesi Terzi. È deleterio l’accordo che autorizza l’importazione a dazio zero dal Vietnam di 20mila tonnellate di riso semigreggio, 30mila tonnellate di lavorato e 30mila tonnellate di riso aromatico. Le importazioni da Paesi asiatici che non rispettano le stesso norme sanitarie, ambientali e sul lavoro delle produzioni europee causano la crisi del nostro settore risicolo. Lo stesso discorso vale per la frutta secca, importata dalla Turchia che presenta un livello di micotossine molto elevato o il triplo concentrato di pomodoro in arrivo dalla Cina.