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Lo scenario è destinato a cambiare radicalmente e nei prossimi anni è molto probabile che alcuni format oggi estesamente diffusi sul territorio, saranno ridimensionati da un nuovo approccio che il consumatore desidera instaurare con lo store. McKinsey ha effettuato diversi studi sul tema e Mark Up ha incontrato Antonio Achille, senior partner McKinsey & C. responsabile area consumer e lusso, per fare il punto della situazione.
Partiamo subito con un tema forte: come sarà il retail a medio termine?
Noi pensiamo che vi sarà una forte discontinuità i cui segnali si vedono già ora. La struttura fisica del retail vedrà sparire alcuni formati che non sono più rilevanti per il consumatore. Ci sono diversi esempi all’estero di insegne che fino a pochi anni fa sommavano volumi di affari da posizione di vertice e che oggi sono usciti dal mercato a causa di una mancata comprensione di ciò che è importante per il consumatore. In Uk, negli ultimi anni, insegne leader stanno soffrendo; in Italia basti pensare agli ipermercati che non intercettano ne flussi ne preferenze del consumatore.
Entriamo nel merito del largo consumo. Come evolverà?
Il fenomeno in atto è quello del “darwinismo” dei formati. Il discount continuerà a crescere ma dovrà rivedere in parte la propria value proposition. Il prezzo, che sposa le aspettative del consumatore, è necessario ma non si potrà trascurare l’obiettivo di raggiungere un posizionamento più emozionale. Soprattutto sulle piazze dell’Europa meridionale. Ciò che emerge fin da ora è che il consumatore non vuole più “scatole anonime”, i big box senza anima, ma vuole un’esperienza di valore.
Voi definite il punto di vendita come soggetto “fisso” mentre il consumatore è dinamico. Entriamo nel merito
Un negozio è un luogo fisico con un inventario, con delle persone, con degli allestimenti. Il pricing poi è costante nell’arco della giornata. Tutti elementi fissi. Tuttavia l’interazione con un soggetto tipicamente dinamico come la persona, induce il retailer a dare risposte “non fisse”. Esistono già alcune esperienze che integrano l’online con l’offline e rendono disponibili al consumatore un assortimento molto esteso pur rappresentando nel negozio fisico solo una frazione. In altri termini l’assortimento esce dalle mura del negozio fisico e prosegue online: negli Usa le proposte di questo tipo stanno emergendo rapidamente. Un esempio è Hointer, retailer di abbigliamento dove non è presente il personale, non solo per ridurre i costi ma anche perché i millennials non gradiscono che vi siano degli addetti nel punto di vendita che impongano la relazione. L’interazione avviene con lo smartphone.
E il prezzo? Come cambia la gestione?
Indubbiamente il tema pricing è un fattore di grande evoluzione. Già oggi Amazon ha abituato i suoi clienti al dynamic pricing, ben presto anche i retailer tradizionali dovranno ricorrere a questa modalità. Ma il pricing non esaurisce l’approccio differenziante. Conta anche il consumatore e le sue caratteristiche. Per un retailer, il valore del proprio business è la customer base, i propri clienti. Le persone non sono tutte uguali. Così, in funzione dell’orario del giorno e di altri parametri, i frequentatori del punto di vendita non rappresentano un target uniforme. E questa differenza può ripercuotersi sul business, a partire proprio dal pricing, la conoscenza in profondità dei propri clienti è una delle prossime frontiere del retail basato anche sull’analisi dei big data.
Però nel largo consumo quest’ultimo è un pensiero un po’ estremo: promozioni e prezzi “bassi e fissi” si combattono senza tregua..
Certo. Il prezzo dinamico nel largo consumo è un concetto oggi non ortodosso. Però guardiamo a ciò che è accaduto ad altri mercati. Fino a qualche anno fa, il prezzo di un biglietto di viaggio era costante, oggi siamo tutti abituati a un approccio opposto. E il consumatore non solo lo accetta ma se lo aspetta. Nel grocery le cose sono diverse: ci saranno sempre player dai grandi volumi di sellout che avranno una value proposition che ricalca l’approccio attuale; ma questo non esclude che altri sapranno estrarre valore in modo diverso.
Non stiamo andando troppo il là?
Il punto è proprio questo. Se non si riesce a prevedere come avverrà il cambiamento e non si lavora per ricavarne delle opportunità, può essere un problema. L’analisi dei big data, la conoscenza della customer base, l’incrocio con elementi di contesto (di quel punto di vendita e di quella particolare giornata) non sono approcci ipotetici, auspicabili. Saranno il modo di lavorare del retail da qui a qualche anno. Inoltre vi è anche un altro importante aspetto. Oggi i grocery retailer calibrano il pricing anche e soprattutto
nel confronto con i concorrenti di piazza. Quando domani il concorrente principale sarà Amazon (o altri soggetti online) che attuano il dynamic pricing, allora l’input al cambiamento sarà ben più pressante.